domenica, gennaio 24, 2010

Vuoto di potere

In questi giorni, ad Haiti, nella tragedia, assistiamo a quello che significa il vuoto di potere.
Il vuoto di potere significa il ritorno allo stato selvaggio. La legge del più forte.

Fatti come questi generano pietà e sgomento in tutti noi. Non c’è più il capo: i più deboli diventano vittime.
Chiedo venia se colgo l’occasione per citare esperienze personali del tutto lontane dalla situazione in oggetto.
Ricordi personali lontani anni-luce dalla tragedia di Haiti.

Nel mio piccolo, da ragazzino, ho potuto assistere ad uno “scampolo” di vuoto di potere.

Il 25 Aprile 1945, giorno di fine della guerra e cambio della guardia, c’è stato un brevissimo intervallo, forse un giorno, dove a Milano non comandava più nessuno. E’ bastato quel piccolo intervallo per lasciare libera la gente di fare quello che voleva.

Bè, non era forse il giorno della liberazione ???

Avevo 12 anni ed abitavo in periferia di Milano, alla Bovisa, in una casa di ringhiera. Quattro piani di operai.
Nanca un sciur, nanca un lader, nanca una lògia (lògia=femmina di suino).
Io con i miei coetanei, eravamo sempre in strada, la palestra dove abbiamo imparato a vivere. Tutti quanti autodidatti.

Il venticinque aprile, non so per quale ragione siamo andati in gruppo alla stazione delle Ferrovie Nord della Bovisa, forse ad un kilometro da casa nostra. Qualcuno ci deve aver detto qualcosa.
Arrivati sul posto abbiamo prima assistito e poi partecipato, al saccheggio di un treno merci fermo in stazione.
Alcuni uomini buttavano giù dai vagoni degli scatoloni. Quelli che stavano sul marciapiede li arraffavano strappandoseli a vicenda.

Poi aprivano gli scatoloni per vedere il contenuto. Se non era di loro gradimento abbandonavano lo scatolone e tornavano all’assalto del materiale di bordo vagoni. Era una mischia ma senza botte. Una cosa leale, sportiva.

Preso coscienza della situazione, noi picciotti abbiamo capito che potevamo solo arraffare le scatole abbandonate dagli adulti, accontentandoci di quello che c’era dentro.

Di buona voglia ci siamo dati da fare. Dopo un po’ ciascuno aveva la sua scatola. Questo ci bastava e subito abbiamo abbandonato il campo ad evitare possibili rapine da parte di gente più grande.

Il mio bottino è consistito in una scatola piena di pipe in radica, nuove di zecca dalla fabbrica.
Altri avevano preso dentifrici, palloncini gonfiabili e non ricordo cos’altro.

Sulla via di ritorno si camminava in un corteo di gente che portava a casa il suo scatolone con il bottino.
A metà strada, il percorso passava in via Varè davanti alla chiesa parrocchiale ed all’oratorio, dove noi ragazzi eravamo di casa.

In mezzo alla strada si era piazzato il parroco, Don Egidio Trezzi, che invitava tutti, implorava tutti a ritornare e restituire tutto quanto avevamo conquistato.

Don Egidio era in mezzo alla strada con le braccia allargate, come un vigile quando ferma il traffico, e predicava ad alta voce.
Inutilmente. Don Egidio in quel momento aveva perso tutta la sua autorevolezza. Lui adesso era un signor nessuno.
Il flusso di gente passava sui marciapiedi guardando avanti, lo sguardo fisso nel vuoto.
Nessuno lo conosceva e salutava.
Nessuno, dico nessuno, lo cagava.
Lui, in quel momento, era uno spaventapasseri.
Arrivati poco dopo, in piazzale Lugano, ci sentivamo ormai a casa nostra e non temevamo più di poter essere rapinati.

Allora ci siamo fermati a curiosare dentro agli scatoloni.
Quello che aveva i palloncini, divertito ha cominciato a gonfiarli. Erano tutti di colore giallastro e non diventavano tondi.
Assumevano strane forme allungate.
I passanti occasionali ridevano divertiti, ma, specialmente le donne, ridevano in modo un po’ strano. Anche scuotendo la testa.
La percezione nostra ci diceva che stavamo dando spettacolo.
Allora come conseguenza, tutti noi a darci dentro a soffiare nei palloncini, lanciarli in aria e ridere con la gente ma senza sapere il perché.

Prima di arrivare a casa, un ragazzotto vecchio di qualche anno più di noi, ci spiegò bene o male cosa fossero i palloncini e alcuni dettagli sul loro utilizzo.
E fu così che tutti noi perdemmo l’innocenza.
Il venticinque aprile del 1945, giorno della liberazione nazionale.

Fu una storica lezione di educazione sessuale. Di quelle in uso all’epoca.

Saluti affettuosi a tutti gli amici

FRANCISCOFRANCO

Nessun commento: