domenica, novembre 20, 2005

L’oro dei contadini

LA TRADOTTA CHE VIENE DA TORINO
A MILANO NON SI FERMA PIU’
MA LA VA DIRETTA AL PIAVE
CI-MI-TERO-DELLA-GIO-VEN-TU’

Dopo questa epopea ne sono venute delle altre.
La storia non si ferma.
Mai.
Qualche amico mio potrà trovare strano che io pretenda di parlottare romagnolo.
Io, nato alla periferia di Milano, alla Bovisa, in via privata Costanzo Cantoni al numer vot.
La ragione c’è: ho delle radici in Romagna.
Non però dalla parte dalla riviera, delle vacanze al mare, delle pensioni con l’ombrellone in spiaggia.
Dall’altra parte, al di là della via Emilia, la Romagna delle colline e dei contadini dalle mani grandi, che sudano il loro pane quotidiano.
Mia madre (classe 1907) veniva di la.
Adesso arrivano in Italia con i gommoni dall’Africa.
Lei è arrivata a Milano con il treno a vapore da Bologna, negli anni 20, ed ha poi incontrato mio padre, ex ragazzo del 99.
Mio padre, anni prima, aveva preso la tradotta per il Piave, a Milano.
Mio padre non ha dovuto prendere il treno a vapore per trovare lavoro.
Lui era nato alla Bovisa, in via Cantoni al numer vot. Gli è bastato restare dov’era.
Autunno 1942.
Giunti alla seconda guerra mondiale, nel 1942 gli anglo-americani bombardano Milano.
Nell’autunno di quell’anno il Duce alla radio dice a tutti di sfollare dalle città, di andare a vivere in campagna.
Ed è nato così l’agriturismo.
Mia madre e noi quattro bambini, io primogenito a nove anni, ci trasferiamo a casa di suo fratello Pippo, in una casa colonica lungo il fiume Sillaro, sull’Appennino.
Il fiume Sillaro scendendo in pianura incrocia la via Emilia in quel di Castel S.Pietro, a sud di Bologna.
Su per quelle valli niente corrente elettrica all’epoca. Lumi a olio in settimana, candela alla domenica.
La terra argillosa delle colline quando piove diventa colla, stucco per fare le statuine.
Quando cammini ti segue sotto le scarpe, e se non la togli è lei poi che ti toglie le scarpe.
Quando invece batte il sole la terra diventa sasso.
Nello e Balot
Zio Pippo ha una stalla con mucche e buoi.
Le mucche, se mi ricordo bene sono sei. Sono mucche che fanno il doppio lavoro.
Adesso siamo abituati a vedere mucche che hanno una damigiana piena di latte in mezzo alle gambe posteriori, che però fanno fatica stare in piedi.
Le mucche di zio Pippo hanno una cosa del latte della misura di uno scolapasta. Mangiano l’erba di Spagna asciutta delle colline e fanno latte quanto basta per la famiglia, compreso il cacio.
In più però fanno anche il contadino. Le usano per tirare carretti ed altri lavori non troppo grossi. Si guadagnano bene i tre pasti al giorno.
E arriviamo a parlare dei buoi.
Zio Pippo ha due buoi Due buoi veri. Due veri buoi.
Due monumenti.
Due statue viventi imponenti, meravigliose.
Si chiamano Nello e Balot.
Mai più visto niente di simile. Ci voleva Michelangelo scultore per tramandarli degnamente.
Nello e Balot servono per arare il terreno argilloso che c’è in zona, pastoso con l’umido, duro con il secco.
Nello e Balot sono due trattori.
Nello e Balot tirano l’aratro, che però deve essere tenuto dentro al terreno da braccia d’uomo … disumane, a misura con Nello e Balot.
Braccia d’uomo con bicipiti d’acciaio e mani grandi, consacrate dal lavoro.
Quelli che hanno inventato lo sport del sollevamento pesi non hanno mai visto i contadini di Romagna tenere l’aratro.
Era qui che dovevano venire a fare le olimpiadi
L’oro dei contadini
Estate
Le colline, spoglie di alberi, sono un granaio, creato dalla “battaglia del grano” lanciata dal Duce.
Campi tagliati verticalmente da stradine bianche che vanno dritte alla meta senza curve.
Strade fatte per buoi, somari e umani. I motori non ci sono.
Inutili se anche ci fossero.
In Giugno, con il grano maturo, le colline hanno il colore del sole. Sono bionde, dai riflessi dorati.
Quando c’è il vento sono onde di sole che si propagano e si ripetono, come il ritornello di una canzone. Un mare d’oro. L’oro dei contadini.
A quel punto inizia l’epopea estiva.
Sono gli sport della stagione, fatti sotto il sole a picco da uomini e donne, senza macchine tra i piedi, con le braccia, con le urla e le bestemmie.
Gli sport sono la mietitura e la trebbiatura
Uomini donne e bambini si guadagnano da mangiare per tutto l’anno.
Per lo meno ci provano.
La sfida è quella di riempire le case con sacchi di grano, distribuiti un po’ dappertutto, anche sotto i letti. Per campare fino a Giugno dell’anno prossimo.
Come fanno le formiche.
Quando vai a letto la sera, il profumo del grano, dolce, domestico, buono, rassicurante, ti accompagna il sonno. E’ l’odore del pane prima che passi dal mulino e dal forno.
La mietitura
Una casetta bianca si staglia, in cima, sul profilo della collina, sul versante opposto della valle.
E’ una di quelle casette che gli scolari di prima elementare disegnano perfettamente, meglio degli architetti.
Intorno alla casetta niente.
Le famiglie sono distribuite nei campi.
Gli uomini con la falce in pugno.
Donne e ragazzi a legare i covoni ed ammucchiarli, pronti per la trebbiatura.
Li vedo dalla parte opposta della valle, con in testa i loro cappelli di paglia.
Sento i loro richiami lontani.
E’ un presepe laborioso che mi affascina .
Adesso ho 10 anni. Vorrei tanto essere tra loro, essere uno di loro.
La trebbiatura
Niente di simile si vedrà più.
La trebbiatrice, macchina mostruosa, a vapore, arriva da non so dove, trainata da un trattore lungo la strada di fondo valle.
Bisogna portarla in cima ad una collina per trebbiare tutto il grano del comprensorio.
Tutti i contadini della zona portano i loro buoi per agganciarli al traino, animali con motori diesel nei quarti posteriori, buoi che adesso ci sono solo in cartolina.
Una dozzina di pariglie di buoi vengono agganciati in serie davanti alla trebbiatrice, con uno che li guida tirando per le narici la prima coppia.
Il traino sterza in su il convoglio verso la stradina bianca che punta direttamente alla cima.
Io li vedo dalla parte opposta della valle.
Sento le urla dei contadini incazzati che incitano e bastonano i buoi.
Queste urla lontane si ripercuotono, si ripetono e sovrappongono. Gli echi riempiono la valle. Sono voci lontane che si spengono, continuamente coperte e sostituite da altre.
Conferiscono grandiosità alla scena.
E’ un coro di urla e bestemmie che si sublima e si trasforma in un’armonia che si fonde con la scena e gli da voce.
E’ un coro diretto da qualcuno che sta più in su, che non si vede ma si fa sentire.
E’ una lode sacra al lavoro umano.
Lentamente il convoglio, sale con la pendenza di un ascensore, si inoltra sulla stradina bianca in mezzo al grano, all’oro dei contadini, e va su, va su piano ma sicuro, come il passo dei giganti buoni che lo tirano.
Il coro degli insulti ai buoi è una musica che riempie la valle.
Le urla non servono. I buoi andrebbero ugualmente e serenamente in su.
I contadini gridano perché devono gridare. E’ il loro ruolo. Devono segnalare la loro presenza e riaffermare la loro autorità.
Se non lo facessero perderebbero di credibilità presso il vicinato.
Si troverebbero a disagio anche la domenica quando vanno a giocare a carte all’osteria.
Purtroppo non c’erano ne Federico Fellini ne Ermanno Olmi a filmare. Adesso è troppo tardi.
Potrebbe fare qualcosa il genio musicale di Bepi De Marzi, con le voci dei suoi Crodaioli.
Lui potrebbe tentare di tramandare alla storia almeno la colonna sonora.
Ora c’è il silenzio.
Ora i buoi non ci sono più.
I contadini con le mani grandi che urlano e bestemmiano, neanche loro ci sono più, il coro che inonda la valle non c’è più e neanche le stradine bianche, e neanche l’oro dei contadini, il grano e la battaglia del grano.
Il coro è spento. C’è solo il silenzio. Ci sono solo i ricordi.
Agosto 1943
In agosto 1943 avviene il più grande bombardamento di Milano
C’è dentro anche la nostra casa, al quart pian in via Cantoni al nùmer vot.
Lo veniamo a sapere da una lettera che ci manda nostro padre.
In via Cantoni al nùmer vot non ci sono morti. Nel resto di Milano, tanti.
Chi voglia inoltrarsi sul viale centrale del Cimitero Maggiore, el cimiteri de Mùsoc, a metà circa del percorso incontra una rotonda, un ossario, dove sono raccolti i resti dei morti di quei bombardamenti.
Fino ad un po’ di anni fa, sulle lastre di ogni singolo loculo, c’erano incisi il nome della persona con la data del bombardamento, il nome della via ed il numero civico dov’era avvenuto.
Devono avere restaurato l’ossario un po’ di anni fa.
Adesso sulle nuove lapidi c’è solo il nome della persona.
La stupidità degli architetti d’oggi è solamente immensa.
Come si fa a distruggere la storia con tanta superficialità ?
Ritorno a casa
Mio padre, rimasto senza casa a Milano, trova modo di riparare un’abitazione, ricostruendo un muro, al primo piano della stessa casa di via Cantoni, e li si trasferisce.
Intanto gli Anglo-Americani risalgono la penisola e nell’inverno del 1943 sono circa a metà strada tra Roma e Firenze.
Mio padre è preoccupato del fatto che si possa rimanere tagliati fuori, lui a nord del fronte e noi a sud, e decide di farci rientrare a Milano.
Siamo ormai a dicembre 1943
Mia madre organizza il rientro facendoci portare a Bologna da un carro agricolo.
Alla stazione di Borgo Panigale si prende il treno per Milano. Ci fanno salire su un carro merci.
Non ci sono più carrozze passeggeri.
Questo è uno degli ultimi convogli che attraversano il Po a Piacenza.
Dopo qualche settimana il ponte del Po viene bombardato dagli Americani.
Il percorso dalla Stazione Centrale di Milano alla Bovisa lo facciamo sul cassonetto di un triciclo a pedali.
E’ il servizio taxi disponibile in quel momento.
Quando entriamo in casa, al primo piano, e già sera inoltrata, è già buio.
L’aspetto dell’abitazione è miserevole, reso ancora più squallido dalla luce fioca di un’unica miracolosa lampadina.
Mia madre non può fare a meno di esclamare : che brutto !!!
Poi si corregge. Prende coscienza della situazione, ci abbraccia e ripete a tutti : sono tanto, tanto felice che siamo qui ancora tutti insieme, sono tanto felice !!!.
Che bèla mama che gavevi mi !!! Che bèla mama !!!
Franco

Il ricordo di Giovanni

Carissimo Franco,
anche se non sono milanese (vengo dalla bassa modenese, al confine con il ferrarese.
Il paese e` Finale Emilia.
Il mio paese degli anni '40-50 (5-6 mila abitanti a quei tempi) puo` essere paragonato ad un quartiere popolare di Milano.
Noi avevamo il fiume (il Panaro), i piu` fortunati avevano un locale dove poter lavare in vasconi di cemento.
Questo locale quasi sempre si affacciava sul cortile ed aveva il pavimento in terra battuta, come del resto molte botteghe artigine adiacenti.
Ricordo il venditore del ghiaccio col suo carretto, il venditore di pesce e rane che girava con la sua mercanzia in una cassetta di legno posta su un portapacchi (dietro) della bicicletta, il venditore di latte, cha arrivava col latte appena munto dalla stalla, in bicicletta col suo carretto o con i bidoni appesi al manubrio.
Ricordo che si aspettavano "i magnan" (spesso zingari, allora non erano cosi` malvisti) che viaggiavano di paese in paese e che arrottavano coltelli, aggiustavano pentole in rame, alcuni facevano lavori di facchinaggio o piccoli lavori in casa.
Ricordo il venditore di legna e carbone col suo carro tirato dal cavallo (o forse mulo), i macellai che con un carretto spinto a mano, tutto chiuso e foderato di lamiera e dipinto di rosso, andavano al macello e, per alcuni anche deposito frigorifero o facevano le consegne, il camion dei pompieri che ogni giorno veniva usato per lavare le strade.
Ricordo i sacchi di merce esposti per la vendita in drogheria ed in particolare quello del riso in cui mi piaceva tanto affondare le mani e far scorrere il riso fra le dita (di nascosto naturalmente), i barattoli in vetro da cui il droghiere pescava le caramelle di zucchero.
Ci sono tanti altri ricordi che si affacciano alla mente.
Grazie ancora per il tuo racconto veramente bello.
Giovanni
Bene, se permettete aggiungo anch'io in modo telegrafico qualche flash all'elenco di Giovanni.
Anche se sono cose personali penso che molti ci si ritroveranno e che gli entusiasti a oltranza del progresso potranno provare un piacevole brivido nel constatare quanta strada abbiamo compiuto da quei tempi bui.
Allora, listo alla rinfusa, come mi viene in mente:
- Lo zucchero venduto sciolto nel cartoccio blu;
- Il gelataio col triciclo;
- Il carrettiere in città col cavallo che scacazzava sull'asfalto (io andavo a raccogliere il letame per l'orto di mio padre);
- La carrozzella in attesa di clienti davanti alla stazione (dalla puzza d'orina anche un cieco si accorgeva di essere arrivato alla stazione. Mi ricordo che quando dipinsero le striscie di uno dei primi passaggi pedonali, uno di questi cavalli si prese paura e non voleva attraversarlo);
- L'unico telefono del paesello. Per ricevere una telefonata si doveva chiamare qualche ora prima l'addetto del posto pubblico che ti veniva a cercare a casa.
- L'unico telefono privato del caseggiato (del vicino di pianerottolo);
- Il primo telefono di famiglia. Un monumento tutto nero appeso al muro in posizione di riguardo;
- Il contadino che all'alba partiva ad arare, per pendii impossibili, con un coppia di buoi (va la' Mor,... gridava);
- L'arrotino, con una strana bicicletta convertibile (si trasformava in una mola per arrotare i coltelli);
- Le mondariso nelle risaie (oggi ci sono i diserbanti);
- Le rane nelle risaie (le hanno uccise i diserbanti);
- La nebbia (quella che si tagliava col coltello. Quella di oggi fa ridere);
- Mio zio che faceva il bagno al mare con la canottiera;
- La lucerna a petrolio;
- La curva di porfido sul circuito di Monza;
- La Mille Miglia (quella vera. Non c'era ancora stato l'incidente di Castellotti);
- Il Settebello (era un treno, non un preservativo);
- L'olio comprato sciolto in un'apposita bottega. D'inverno c'era un freddo tale che formava dei bellissimi cristalli nel bottiglione di vetro;
- Il vescovo di Prato che tuonava contro due suoi concittadini additandoli come "pubblici concubini";
- Oscar Luigi Scalfaro che in un ristorante di Roma critica scandalizzato una signora a suo parere troppo scollata e viene sfidato a duello dall'accompagnatore della signora;
- Un medico (non ricordo il nome) che dopo aver procurato un aborto fugge in Sudamerica (chissà se è tornato e ha chiesto i danni allo stato italiano);
- Lascia o Raddoppia cui si assisteva religiosamente nel bar del quartiere (un buon mezzo chilometro di strada);
- Un non meglio identificato mio coetaneo di cui si favoleggiava che, dopo aver messo nei pasticci due ragazze, fosse corso ad arruolarsi nella Legione Straniera (questa non ho mai saputo se era vera. Tuttavia il solo fatto che apparisse verosimile la dice lunga. Significativi anche i commenti ammirati: "Certo che farsela dare addirittura da due...");
- I tram col bigliettaio;
- I treni a vapore;
- Autoblindato degli Alleati sulla Via Aurelia (ricordo molto vago. Adesso per vederne uno bisogna andare fino in Iraq);
- La Befana del Vigile;
- Le suore negli ospedali, con un'enorme cuffia che sembrava la cupola del palazzetto dello sport; - Il Novara (di Piola? non son sicuro) in serie A;
- Le barche di legno (intendo dire col fasciame di legno);
- Le donne che andavano a far la spesa con la gaetana (una specie di borsa. Gli shopper di plastica dovevano ancora arrivare);
- Le donne con le calze di seta con la cucitura dietro;
- La Balilla (era un'automobile);
- La Littorina (era un treno);
- La Fiat 1400 con scocca portante e senza parafanghi esterni. Ci sembrava un oggetto venuto da un altro pianeta ("sembra americana", era il massimo dell'encomio allora) e De Chirico la ritrasse in un quadro (ignoro se preso dall'ispirazione o se profumatamente remunerato dalla dirigenza Fiat di allora - leggi Valletta, Gianni Agnelli aveva i calzoni corti);
- L'autostrada Milano-Laghi a una carreggiata. Si pagava all'entrata e in certi caselli per uscire si doveva girare a sinistra (avete capito bene, si doveva tagliare la strada a quelli che venivano incontro. L'addetto del casello guardava da una parte e dall'altra e poi ti faceva passare);
- La Giulietta Sprint col cambio al volante;
- La Giulietta TI (berlina 4 porte, credo che sia uno dei modelli col maggior tasso d'incidenti) coi bellimbusti che stavano seduti in tre davanti e il sedile posteriore vuoto;
- Autostrade e statali di grande comunicazione a tre corsie. Quella centrale serviva per i sorpassi, per il traffico in entrambi i sensi. Garantito il frontale se due sorpassatori ostinati non volevano mollare per primi. Garantita l'emozione sempre, meglio che al Luna Park;
- La sostanziale mancanza di inquinamento. Be' adesso la smetto per non approfittare troppo della vostra pazienza. Se qualcuno ha qualche altro reperto preistorico da aggiungere alla collezione si faccia avanti, si potrebbe mettere insieme un bel documento.
Franco
Aggiungo anch'io.


Avevo circa 6/7 anni e ricordo che a quel tempo mia madre lavava i panni al fosso chiamato da noi il "fossetto" in Vicolo dei Lavandai a Milano.
Sull'angolo di questa via, dove ora c'è un ristorante, a quei tempi c'era un negozio che vendeva acqua calda, soda, lisciva (ora si chiama sodio carbonato), sapone e ghiaccio.
Una volta mia madre mi chiese di andare al negozio a comperare dell'acqua calda perchè doveva lavare i panni e mi diede un secchio vuoto da riempire.
Quando le riportai il secchio mi sgridò perchè durante il tragitto dal negozio al posto dove lei stava lavando i panni avevo versato lungo il percorso parecchia acqua calda dal secchio, da quel giorno non mi chiese più di comprare acqua calda.
Gianpiero