giovedì, dicembre 01, 2005

Storia del sistema pensionistico italiano

ORIGINIIn Italia, la pensione per tutti, vale a dire l’obbligo per tutti i lavoratori di effettuare i versamenti ed il conseguente diritto, al raggiungimento dell’età, di riscuotere la pensione, è nata con l’istituzione dell’ INFPS (Istituto Nazionale Fascista per la Previdenza Sociale), ente creato nel marzo 1933 dal governo Mussolini, e ribattezzato INPS nel 1945.

Alla sua istituzione, l’INPS stabiliva che l’età di pensionamento era a 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne.
L’ammontare della pensione era calcolato sulla base dei contributi versati, quindi in sostanza sul cumulo dei soldi accantonati (ed opportunamente investiti in immobili per salvarli dall’inflazione)
Un sistema di tale fatta, chiamato oggi a capitalizzazione dagli addetti ai lavori del campo previdenziale, godeva di un perfetto equilibrio di bilancio economico.

Il sistema a capitalizzazione è stato abbandonato malauguratamente negli anni settanta, ad opera del sistema politico/sindacale del tempo, per passare all’attuale sistema che vive dei proventi contributivi di quelli che lavorano.
E’ un sistema che si regge in equilibrio finche ci sono tanti che lavorano e pochi che prendono la pensione.
Oggi, non esistendo più il giusto equilibrio tra chi versa e chi percepisce, non si regge più.

All’origine, inoltre, non esisteva il diritto di andare in pensione prima dei termini, sulla base degli anni di contribuzione, come in uso oggi (pensioni di anzianità) diritto che è il principale responsabile dello squilibrio tra versanti e riceventi

Da molti anni ormai le autorità europee ci invitano quasi quotidianamente a voler riformare il nostro sistema pensionistico, portando l’età pensionabile oltre i 60 anni, perché a loro non garba di essere diventati soci in affari con gente che continua a fare debiti, ma i nostri politici fanno orecchio da mercante.
Il conclamato europeismo degli italiani qui non funziona.

PROBLEMA: LE PENSIONI DI ANZIANITA’
Perché sono state create le pensioni di anzianità ?
Quando sono state create?
Da chi è stato creato questo problema?

Cerco di dare una risposta a queste domande sulla base dei miei ricordi e sensazioni.
Ci saranno anche delle inesattezze in quanto dico, particolarmente nelle date e nelle cifre, ma è comunque sempre un quadro veritiero sull’origine del problema ed è sicuramente molto di più rispetto al silenzio totale dei mass-media.

I mezzi di comunicazione lo trattano solo come un fatto di cronaca, senza mai toccare gli aspetti storici e le responsabilità relative.
INIZIO ANNI SETTANTA : FINE DEL VECCHIO SISTEMA
Come gia detto, in origine, tutti andavano in pensione a sessant’anni, anche i dipendenti pubblici, statali e parastatali.
Sono sicuro di questo fatto in quanto mio padre era un dipendente statale ed è andato in pensione a sessant’anni, lui e tutti i suoi colleghi, e mai si è parlato in casa mia di possibili pensionamenti anticipati.

Facevano eccezione a questa regola i corpi militari, esercito, carabinieri, polizia, finanzieri, ecc. che avevano la possibilità di andare a quarant’anni.

Questo privilegio, era, ed è, giustificato dal fatto che per svolgere quelle attività occorre efficienza fisica.
E’ un privilegio pensionistico universale, non solo italiano. Anche negli USA, era, ed è, tutt’ora in atto.
Si deve anche considerare che le leggi in materia provengono da epoche in cui si faceva una guerra ogni tre per due.
La pensione anticipata rappresentava un modo per attrarre persone ad arruolarsi e per compensare uomini per i servigi resi alla nazione.

Bastava lasciare le cose com’erano anche in Italia, come fatto negli altri stati, e non ci sarebbe stato il problema delle pensioni.

Nel 1968 è iniziata una contestazione giovanile di portata mondiale, Il famoso sessantotto.

In Italia il sessantotto è durato più di un decennio, provocando sconvolgimenti a catena con un continuo susseguirsi di rivendicazioni politico/sindacali, fino a generare il fenomeno delle brigate rosse.
Questo è stato di gran lunga il periodo più nero vissuto dall’Italia nel dopoguerra (sono chiamati gli anni di piombo) e tra i danni che ha prodotto c’è stato il dissesto del sistema pensionistico.

PRIMO PASSO: PARIFICAZIONE DI TUTTI I DIPENDENTI PUBBLICI
Ad un certo punto (fine anni sessanta) i sindacati dei dipendenti pubblici hanno preteso che tutti i dipendenti del settore pubblico godessero degli stessi diritti pensionistici, cioè che tutti gli impiegati statali ottenessero gli stessi diritti dei militari.
(Su questo fatto, e sull’ epoca a cui lo attribuisco gradirei conferme o smentite da parte di persone che hanno vissuto le vicende dall’interno degli enti statali)

Pochi o nessuno nel mondo politico si è fatto sentire per ostacolare questa rivendicazione.
D'altronde era in atto una gara (baldoria) elettorale continua dove il blocco PC/PSI chiedeva tutto, compresa la felicità, gratis e subito, per tutti, e la DC si premurava di non dire mai di no, anzi magari si metteva in concorrenza e faceva contr’offerte più gradevoli al palato.

I diritti che erano riservati ad una categoria di circa 500 mila individui (i militari) sono stati così estesi a sei o sette milioni di persone.
Si sarebbe dovuto semplicemente dire di no: se uno intraprende la carriera del bidello sa che è diversa da quella del carabiniere
Ma agli interessati (i sindacati) “non glie ne poteva fregare de meno” come dicheno i romani de roma.
E a chi doveva decidere interessava solo l’amicizia elettorale di un tale esercito di impiegati statali.

E’ nato quello che poi è stato definito il fenomeno, anzi lo scandalo, delle “baby pensioni”.

I mezzi di comunicazione, che erano in mano allo stesso consorzio politico che aveva promosso l’operazione, non hanno fatto niente per divulgare in anticipo le conseguenze della “riforma”.
Lo scandalo è diventato però evidente anni dopo, quando molta gente si è trovata parenti, amici e vicini di casa, in pensione all’età di quarant’anni e anche meno.

SECONDO PASSO: ADEGUAMENTO DEI LAVORATORI DI AZIENDE PRIVATE AI DIPENDENTI PUBBLICI
Una volta fatto il primo passo, il secondo è stato una conseguenza quasi inevitabile.
Preso atto di questo nuovo stato dei dipendenti pubblici, tutto il resto del mondo operaio e impiegatizio, (altri venti milioni e più, di persone) appoggiato ovviamente dal sindacato ha detto :
E noi ?
Dove sta l’eguaglianza sociale ?

E la frittata era fatta.
Non ci sono state grandi battaglie sindacali per ottenere questo beneficio; la controparte non erano i perfidi industriali ma bensì mamma Stato, mansueta, benefica, mucca da mungere.
Mucca peraltro costituita da 60 milioni di contribuenti italiani.
Il gestore formale del potere, cioè la DC, era ormai totalmente appiattita al Partito Comunista ed ai sindacati.

Si è solo dovuto raggiungere un compromesso: si al diritto alla pensione di anzianità, ma solamente con almeno 35 anni di contribuzione.
Che per molti ha voluto dire poter andare in pensione a 50 anni.

Queste decisioni sono state prese senza preoccupazioni di bilancio da parte dei promotori (le cosiddette forze sociali), e senza il coinvolgimento dell’opinione pubblica ne contrasti governo-opposizione, che se non altro avrebbero provocato un pubblico dibattito.
Tutto ciò nonostante che in tutto il resto d’Europa si andava, e si va, in pensione a 65 anni.
SITUAZIONE NUOVA
Di questo nuovo quadro, oltre ad approfittarne gli aventi diritto, ne hanno approfittato anche le aziende che hanno potuto far salire sul carro dell’INPS milioni di persone diventate scomode.

Le pensioni di anzianità hanno anche mandato in malora tutte le casse previdenziali separate dall’INPS, in quanto, per legge, si sono imposte assurdamente le stesse regole (pensioni d’anzianità) a tutti.
Casse previdenziali che, in questi ultimi anni, sono passate necessariamente all’INPS, in quanto è a questo calderone che confluiscono i soldi di mamma-Stato a ripianare i debiti.
Ultima in ordine di tempo l’INPDAI, la cassa dei dirigenti d’industria.

Tutti i cambiamenti legislativi di cui sopra venivano fatti dal parlamento senza alcuna preoccupazione rispetto ai problemi di spesa pubblica.
Ma che bisogno c’era di preoccuparsi !!!
Lo sport di moda era quello di chiedere.
Tant’è vero che si è dovuti arrivare alla presidenza di Pertini per introdurre una clausola nelle procedure di approvazione di leggi di spesa : la clausola prevede che quando il parlamento delibera una spesa deve anche individuare la copertura economica.

Elementare no ???
E va bene, nessuno ci aveva pensato !!!
E poi che male c’era ? Lo Stato aveva la macchinetta per stampare i soldi e coprire cosi i buchi.
Solo che questo produceva un’inflazione del 20% annuo.
I buchi in realtà li coprivano poi le famiglie che vedevano bruciati i loro pochi risparmi.

Adesso il sistema è stato ereditato da uno Stato che ha perso la prerogativa di poter stampare soldi.
Gli Euro li stampa solo l’Europa. E allora i debiti bisogna pagarli con le tasse. Capito??!!!
QUALCUNO SI E’ FATTO SENTIRE NEL MONDO POLITICO ?
Nel mondo politico pochi hanno fatto sentire le loro voce, anzi, a pensarci bene me ne ricordo uno solo: Ugo La Malfa, voce che gridava nel deserto. Predicava l’austerità.

Predicava l’austerità non solamente riguardo le pensioni. C’erano anche altri fiumi di spesa, ma quello delle pensioni è sempre stato il più grosso

La Malfa (Partito Repubblicano Italiano) raccoglieva un 5% dei voti. Dicevano che faceva l’interesse degli industriali
I partiti allora gettonati erano DC, PC, PSI.

Io ho sempre votato PRI.
Prima Ugo La Malfa, in seguito Giovanni Spadolini.
Sono obbligato a incensarmi per far sapere che non sto parlando con il senno di poi.

Il caos politico e amministrativo italiano degli anni di piombo ha prodotto un unico buon risultato (c’è sempre il rovescio della medaglia): gli italiani sono diventati gli europeisti più convinti di tutta Europa.
Hanno preso coscienza della nullità della propria classe dirigente e quindi sperato (unica via di salvezza) in una autorità sopranazionale, che dall’alto imponesse regole serie.
I GIORNI NOSTRI
I giorni nostri, nella mia concezione, iniziano nel 1994 con il primo governo Berlusconi.
In quel momento si è verificato uno scontro frontale tra il governo e l’opposizione sul tema pensioni, con un evento di portata storica; l’adunata sindacale a Roma a piazza S.Giovanni contro il tentativo di riforma delle pensioni proposto da Berlusconi, evento del quale intendo parlare in uno scritto successivo.
Franco Valsecchi

I vagoni odiano la locomotiva

Sul Corriere di oggi (24 gennaio 04), Angelo Panebianco presenta un articolo (E il Cavaliere sgretolò l'anticapitalismo) che secondo me centra perfettamente l'obiettivo di spiegare le ragioni del berlusconismo e dell'anti-berlusconismo.

Costituzione capitalista
L'talia è un paese capitalista, nei fatti e nelle leggi che la governano. La Costituzione, scritta nei primissimi anni del dopoguerra, legittima questo stato di cose.
D'altro canto però le stesse forze politiche (PCI, DC, PSI, maggioranza soverchiante del parlamento ) che hanno scritto la Costituzione, odiano il capitalismo. Quindi lo sopportano male.

Dice, ma come mai se la pensavano cosi hanno scritto la Costituzione di un paese capitalista ?
Risposta : in Italia, all'epoca, stazionavano le truppe americane, USA Army, che non erano venute qui per fare del turismo. Gli USA all'epoca erano l'unico vero paese capitalista liberista al mondo. Quindi, guardare bene il modello e adeguarsi.

I comunisti e i socialisti storici, avversano il capitalismo per ragioni ideologiche più che ovvie. Il marxismo, che è la loro matrice ideologica, è nato per demolire il capitalismo (ed insieme ad esso la Chiesa).

I democristiani odiano il capitalismo perchè rappresenta la speculazione, e quindi il contrario della solidarietà, della condivisione, dell'altruismo e della carità cristiana.

Politica anti-capitalistaLa conseguenza è che, nonostante la Costituzione, le forze politiche che hanno dominato l'Italia hanno poi fatto una politica economica tutt'altro che liberista, quindi la cultura dell'impresa e del profitto sono stati trattati come farina del demonio dice Panebianco.
L'industria dei debiti (debiti a pagare di tasca dai cittadini) invece è stata vista con simpatia, perchè erano debiti socialmente giustificati, debiti per garantire i posti di lavoro.

L'industria italiana, fino ad un decennio fa, è stata dominata dall'IRI, ente statale proprietario di più della metà delle grandi industrie (Alfa Romeo, Alitalia, RAI, SIP, Italtel, cantieri navali, siderurgia ecc). Quindi, di fatto, il nostro era un capitalismo di Stato, tutte queste aziende più che debiti non hanno mai fatto.

La competizione internazionale e l'entrata in Europa ci hanno costretti poi, volenti o nolenti, a cambiare strada, ma i sentimenti della classe politica e di moltissima gente, sono rimasti a favore di questa politica economica.
Nostalgia della sicurezza economica garantita dallo Stato
Sta di fatto che, nell'ultimo decennio, un gran numero di persone ha dovuto rimboccarsi le maniche e crearsi un lavoro autonomo, da soli o in piccole società.

Entrata di Berlusconi in politica
Quando Berlusconi è entrato in politica ha subito sguainato la spada a difesa dell'impresa, ad esaltazione del libero mercato, ad incoraggiamento del lavoro indipendente,

Panebianco dice : come valori da esaltare, espressioni di una moralità superiore.
La scala dei valori su cui era costruita la prima repubblica veniva così scardinata.

Questa è stata, nel panorama politico italiano, una novità assoluta, sconvolgente, contraria alla cultura dominante dell'anticapitalismo Catto-Comunista.

Questo fatto ha tirato addosso a Berlusconi un odio mortale da parte di molti italiani.

Lui, non solo predica una politica economica che richiede di rimboccarsi le maniche, ma distrugge anche tutti i sogni di tanti ex giovani che un tempo hanno combattuto epiche battaglie sociali, scioperi, occupazioni di scuole, casini di ogni genere (battaglie inutili come quelle di Don Chisciotte).
Lo scopo di Berlusconi non è quello di far incazzare la gente ma di convincerla che la nuova economia è basata sulla libera impresa.

Le locomotive ed i vagoni
La gente comune, in gran parte, vede i datori di lavoro come fumo negli occhi.
Sia perche sono quelli che ti comandano, sia perchè fanno i soldi
In Italia ci sono cinquemila imprese tra grandi e piccole.

Tutti gli altri lavoratori messi insieme sono circa ventidue milioni di persone (quattro persone su dieci lavorano, in Italia)

Queste cinquemila imprese sono le locomotive dell'economia italiana
I ventidue milioni di lavoratori subalterni sono i vagoni del treno.
La gente deve prendere atto di questa realtà.
E' inutile che i vagoni debbano odiare le locomotive
Se si fermano le "locomotive" i " vagoni" possono solo tornare alla campagna, a vangare l'orto.

Franco Valsecchi

L'Araba Fenice

Ottobre 2003 - L’ARABA FENICE

La forza elettromotrice
È come l’Araba Fenice
Che ci sia ciascun lo dice
Dove sia nessun lo sa

E’ un refrain che circolava nelle scuole professionali dove si insegnava elettrotecnica ai miei tempi belli.

Ma la corrente elettrica produce varie Arabe Fenici.
Oltre alla forza elettromotrice, che muove i treni, i tram, le lavatrici e i macinini del caffè, c’è un’altra Araba Fenice : le onde radio, che ci fanno ascoltare la radio, vedere la televisione e parlare con il telefonino.
E poi ce n’è un’altra ancora, una terza : la luce elettrica, fatta di onde elettromagnetiche come le onde radio, ma di frequenza estremamente superiore.

Raccontando le cose in stile fumettistico, che è l’unico che mi riesce, voglio spiegare alcune cose circa le onde radio e la luce.

Il campo magnetico
Quando circola una corrente in un conduttore, si genera un campo magnetico intorno al filo.
Se la corrente è continua (quella delle batterie) il campo magnetico è fermo come il famoso Palo dell’Ortica.
Se la corrente è alternata, come quella delle nostre prese elettriche domestiche, che va avanti e indietro 50 volte al secondo (220 Volt, alla frequenza di 50 Hertz), anche il campo magnetico si agita alla stessa velocità.

Le prese di corrente
Con la corrente delle nostre prese però non succede ancora niente perché la velocità di agitazione è bassa (50 Hertz) Le onde elettromagnetiche cadono per terra e non fanno neanche polvere.

Le onde radio
Perché succeda qualcosa di tangibile bisogna arrivare a circa 10 mila Hertz (10 kHz).
Allora le onde elettromagnetiche cominciano ad andare lontano. Cominciano ad essere onde radio.

Il campo delle onde radio, vale a dire delle onde elettromagnetiche utilizzate per le radiocomunicazioni, si estende in pratica dai 100 mila Hertz (100 kHz) ai 2 Giga Hz, che significa 2 miliardi di periodi al secondo, (oppure per i matematici 2x10 elevato alla 9 )
Questo intervallo da 100 kHz a 2 GHz viene definito lo spettro radio, ma di fantasmi non ce ne sono. Dentro il margine estremo superiore dello spettro radio, (2 GHz), funzionano gli attuali telefoni cellulari GSM.
Oltre lo spettro radio
Andando in su con le frequenze, quando si arriva ai mille miliardi di Giga Hertz (10 elevato alla 12a potenza) si incontra un confine molto importante.
Il confine tra le frequenze che non fanno niente al corpo umano (lo spettro radio) e le frequenze che hanno un impatto sulla fisiologia del corpo umano (le frequenze superiori)

L’impatto fisiologico può essere sia benefico che malefico, dipendendo dalle dosi di radiazioni.
E’ il regno della luce (da non confondere con l’illuminismo, che è una filosofia) in particolare il regno della luce solare.
Più si va in su con le frequenze e più è forte l’impatto con il corpo umano, fino ad arrivare a livelli letali.
Oltre un certo limite l’uomo è protetto dalle radiazioni solari grazie all’atmosfera

Lo spettro luminoso. Il campo dell’infrarosso
Alla frequenza di 10 elevato alla 12a Hertz, inizia la luce invisibile all’infrarosso, che si estende per una gamma di frequenze fino ai 10 alla 14 (che palle questa storia !)

Le onde elettromagnetiche di questo nuovo universo, di cui mi accingo a scrivere, sono prodotte prevalentemente dallo spazio cosmico piuttosto che dall’uomo.
Anche l’uomo però è in grado di generarle, per scopi vari.
Esistono infatti cannocchiali all’infrarosso e relative macchine fotografiche.

Lo spettro luminoso. La luce visibile
Arrivati ai 10 elevato alla 15, Hertz finalmente troviamo la luce del sole (quella che riusciamo a vedere)
Mi sembra di essere Dante quando esce dall’Inferno.
Luce visibile, peraltro riprodotta anche dall’uomo con le lampadine, le candele etc.

Lo spettro Luminoso. I raggi ultravioletti
Superato lo spettro luminoso visibile si entra in quello della luce ultravioletta, invisibile come l’infrarosso.
Qui entriamo in un campo che diventa pesante per il corpo umano
L’ultravioletto si estende da 10 alla 15 (1 seguito da 15 zeri) fino a 10 alla 19 (1 seguito da 19 zeri) e include i “raggi X” che hanno massacrato i radiologi per mezzo secolo.

I raggi Gamma
Non che finisca proprio qui la storia ma qui la faccio finire perché sono stufo.
Intorno ai 10 elevato alla 20 Hertz ci sono i raggi gamma, onde elettromagnetiche micidiali dalle quali ci ripara l’atmosfera
(che bella copertina che abbiamo addosso, ne !?)
Comunque l’uomo è riuscito ad utilizzare anche queste frequenze.
E’ già in uso uno strumento elettromedicale, chiamato Gamma knife (coltello a raggi Gamma) che viene utilizzato nella chirurgia del cervello per l’altissima precisione che consente di ottenere.
Ci sarebbe anche il Laser ma qui non si finisce più !!!
Basta inscì !!!!
Conclusioni
Adesso che mi sono preso la briga di raccontare tutte queste cose arrivo alla mia conclusione.
Io non vedo perché una lampada da 100 Watt, appesa in cucina sopra la mia testa, lampada che emette onde elletrromagnetiche (luce visibile) alla frequenza espressa in Hertz di 1 seguito da 15 zeri e della potenza appunto di 100 Watt debba essere innocua alla mia salute mentre un telefono cellulare GSM che, quando si parla, emette due Watt a due Giga Hertz (2 seguito da 9 zeri) e quando non si parla emette praticamente niente anche se è acceso, dico perché quest’ultimo dovrebbe essere pericoloso alla mia salute.
(le antenne GSM sui tetti trasmettono la stessa frequenza a 20 Watt)

Se c’è qualche uomo di scienza, di quelli che non vanno a farsi leggere la mano, che mi dimostra che sto sbagliando, ecco in questo caso io sono disposto a scendere in piazza con i cortei di protesta contro le antenne , insieme alla variegata fauna delle badanti, delle collaboratrici domestiche, delle signore snob dei salotti radical-schic palestrate e abbronzate a lampada, dei pacifisti, dei culattoni …ups i Gay, dei No-global dei No-Berlusconi e dei Si-ai-Rompicoglioni.

Scusatemi ma questo è uno sfogo del cuore di uno che ne ha piene le palle di sentir parlare di elettrosmog

Franco Valsecchi


















martedì, novembre 29, 2005

Il paradiso perduto

Introduzione
Nel mondo occidentale, moderno, industriale di oggi il contadino non esiste più.
Oggi gli addetti all’agricoltura sono persone che siedono su una macchina e girano per i loro campi.
Per mezzo di ammennicoli vari, appendici del trattore, lavorano la terra senza scendere dalla macchina. Sono dei sedentari dell’agricoltura.
Il contadino, nel mio immaginario, è una persona che lavora la terra con le sue braccia.
Nel terzo mondo ci sono ancora i contadini, gli uomini che lavorano ancora la terra con le loro braccia. Le loro condizioni di vita sono molto varie in relazione all’ambiente in cui si trovano.
Noi li conosciamo un po’, confusamente, attraverso la televisione.
I contadini io li vedo come quelli che ho visto in Romagna negli anni quaranta, sulle colline dell’ Appennino tosco-emiliano, e la loro immagine è rimasta scolpita nella mia mente e nei miei sentimenti. Uomini rocciosi, dediti solo al lavoro.
Non a caso Mussolini ha impiegato i suoi conterranei, i contadini romagnoli, per realizzare la Bonifica delle Paludi Pontine. Voleva andare sul sicuro.
Io provo un sentimento di riconoscenza verso di loro. Sento di dovere qualcosa ai contadini romagnoli. Dedico perciò a loro una mia favola, fatta di realtà, ma con un finale surreale, immaginato al solo scopo di trovare una pietra di paragone alla loro sofferenza esistenziale.
UNA FAVOLA DI VITA REALE

Plasmati dalla terra.
Il contadino nasce a otto anni.
A otto anni il padre gli mette in mano una zappa.
Le mani del ragazzo la sentono e capiscono che devono dilatarsi per avvolgere il legno in una morsa. Le mani vogliono bene al ragazzo e fanno di tutto per aiutarlo. Diventano grandi e forti.
Poi qualcuno mette sulle spalle del ragazzo fascine di fieno, di paglia, di legna.
Anche le spalle vogliono bene al ragazzo e cercano di assumere la forma adatta al compito.
La forma giusta somiglia al dorso dei muli e dei somari. Le spalle si allargano e si arrotondano; si adeguano.
Il tronco e le gambe vorrebbero allungarsi ma si rendono conto che il ragazzo non guarda al cielo.
Guarda sempre la terra ed è in dialogo continuo con essa. E’ l’oggetto esclusivo della sua vita.
Se gambe e tronco si allungassero renderebbero difficile la vita al ragazzo.
Sia le gambe che il tronco gli vogliono bene e preferiscono allargarsi invece di allungarsi.
A vent’anni il contadino è fatto, è completo, è uomo plasmato per lavorare la terra con le sue braccia.
Nasce la famiglia
Un giorno il giovane contadino porta le mucche al pascolo su per i monti della valle.
In una dolce conca erbosa il contadino incontra una pastorella con le sue pecore.
L’incontro è fatale.
Il contadino s’innamora all’istante della pastorella e decide di fargli fare un figlio, subito.
La pastorella apre la bocca per pronunciare qualcosa :
poteva essere un no, oppure un si, oppure un ma……….non si sa.
Le mani extra-large del contadino chiudono il discorso sul nascere.
Dopo, subito dopo, il contadino chiede alla pastorella : come ti chiami ?
Lei risponde : Io mi chiamo Donna e tu ?
Il contadino : Io mi chiamo Lavoro
E’ così nata una nuova famiglia.
Lavoro e Donna metteranno al mondo molti altri figli, utili alla famiglia contadina, braccia necessarie per lavorare la terra e sopravvivere.
Presa di coscienza
Lavoro e Donna, dopo anni, hanno una famiglia fatta, con un ultimo pargolo ancora in fasce.
Nel tempo hanno sperimentato la durezza della vita contadina in tutti i suoi aspetti.
Sono passati attraverso il lavoro massacrante, le malattie, le carestie, le morie del bestiame, le annate senz’acqua, le piene del fiume e molti altre durezze della vita.
Un giorno Lavoro e Donna si guardano in faccia e si interrogano :
ma chi è che ci ha cacciati dal Paradiso Terrestre ? E perché ci hanno cacciati ?
Abbiamo fatto noi qualcosa di male ?
Lavoro e Donna decidono di chiedere ragione di ciò a qualcuno che se ne intende.
Decidono di recarsi alla Pieve per porre la domanda al Signor Curato.
Oppure, nel caso lui non ci fosse, chiedere almeno al campanaro. Dovrà pur sapere qualcosa anche lui.
Lavoro e Donna si incamminano verso la Pieve, con il pargoletto al seno della mamma.
La Pieve
Al di la del fiume e dopo aver scavalcato una collina, Lavoro e Donna giungono alla Pieve.
Entrano timorosi in chiesa, si guardano intorno con circospezione e non c’è nessuno. Vanno a vedere in sagrestia : nessuno anche li.
Escono, girano intorno alla chiesa, entrano nel piccolo cimitero, poi nel campanile: nessuno.
Ritornano in chiesa e si mettono a girare ed osservare con grande rispetto e devozione tutti gli angoli del tempio. Pare che non ci sia nessuno.
L’incontro
Ma, non è vero; qui c’è qualcuno.
E’ un crocefisso appeso al muro.
Un crocefisso a dimensione umana, appeso ad altezza d’uomo.
Anzi, no, appeso ad altezza di contadino.
Lavoro e Donna si avvicinano al crocefisso.
Il viso di Cristo è solamente una spanna più in alto di quello di Lavoro, essendo Lui appeso al legno della croce.
I due, timorosi, si approssimano sempre più alla Croce.
Scrutano il volto di Cristo, lo guardano con stupore, dilatando gli occhi.
Anche Cristo muove la testa in giù verso di loro, avvicinandola al loro viso.
Lui li guarda, li fissa con occhi amorevoli, pietosi.
Si osservano reciprocamente con grande meraviglia, sfiorando i loro visi.
Lavoro e Donna vedono nel volto di Cristo uno di loro.
Si riconoscono in Lui.
Si identificano in Lui. Hanno incontrato uno di loro.
Lavoro e Donna cercavano la Porta per ritornare al Paradiso Terrestre ed invece hanno trovato una croce come quella che stanno portando loro.
Rimangono a lungo stupiti, ammutoliti a scrutare il volto di Cristo.
Non riescono a staccarsi dal fratello inaspettatamente incontrato.
Poi, Lavoro mette una mano sulla spalla di Donna.
I due indietreggiano, adagio senza staccare gli occhi dalla Croce, e si avviano quasi furtivamente verso l’uscita, seguiti dallo sguardo amorevole di Cristo.
Escono dalla Pieve e si avviano in silenzio attraverso i campi.
Ritornano alla loro croce quotidiana.
Franco Valsecchi










































































La Cina non c'entra

Lunedi 14 marzo 2005, l’annesso al Corriere “CorriereEconomia” ha ospitato un articolo di Marco Vitale che io trovo particolarmente interessante.

Dice Marco Vitale nel titolo: siamo depressi e la Cina non c’entra.

Riassumo i passaggi secondo mè più significativi.

Da anni la Fiat è in crisi e la Cina non c’entra.
Da anni l’Alitalia è in crisi e la Cina non c’entra.
Con Parmalat abbiamo realizzato la più grande frode della storia e la Cina non c’entra.
Paghiamo l’energia elettrica più cara di tutti (avendo rinunciato al nucleare) e la Cina non c’entra.
Siamo il Paese turisticamente più ricco del mondo ma, in termini di visitatori, siamo terzi in Europa dopo Francia e Spagna e la Cina non c’entra.
La nostra Giustizia è la più lenta del mondo, facendo così girare al largo gli investimenti stranieri, e la Cina non c’entra.
Abbiamo il più alto numero di impiegati statali ma la burocrazia statale più lenta del mondo, e la Cina non c’entra

L’elenco delle piaghe d’Egitto….pardon d’Italia, enunciato da Marco Vitale, non finisce, qui ma si complica e richiederebbe a me troppo spazio.

Voglio invece aggiungere qualche piaga presa dalla farina del mio sacco

Abbiamo, in percentuale sulla popolazione, il più alto numero di pensionati del mondo, cioè il 30%, e la Cina non c’entra.
Abbiamo, in percentuale sul PIL, il più alto debito del mondo, cioè il 106%, e la Cina non c’entra.
Facciamo più sciopero nei servizi di trasporto di tutto il mondo, in modo da far scappare i turisti, e la Cina non c’entra

Può bastare per piantarla qui con il ritratto dell’Italia.

Ma allora la Cina è una bufala ? La Cina c’entra o non c’entra ?
La Cina non è la causa della nostra depressione. Quella è roba nostra, made in Italy.
Adesso però con la Cina (e con altri) dobbiamo combattere tutti, anche noi, sistema Italia.
Il problema è che noi ci troviamo a combattere ma con poca forza, con meno forza di molti altri, in quanto, nei passati decenni, abbiamo creato un sistema debole, l’attuale sistema Italia, con il motore che va a segatura invece che a benzina.

Ma se siamo dei brocchi a questo livello come abbiamo fatto a cavarcela ?
La storia va fatta dal 1970 in poi. Qui c’è stata la svolta. Quando sono diventati adulti quelli che sono andati a scuola sotto il dominio culturale marxista è iniziato il casino.

I governi democristiani sono stati terrorizzati dall’avanzata elettorale del Partito Comunista ed hanno cominciato a “dare”.
Hanno creato un sistema che dava più di quello che incassava.
Lo strattagemma per far vivere un tale sistema era quello dell’ inflazione. Stampando moneta i debiti dello Stato venivano annullati. Venivano però anche svalutati i risparmi della gente e le pensioni, ma i sindacati potevano gloriarsi delle vittorie sul padronato.

Perciò “tutti felici e tutti contenti, il Rè…è vittorioso in tutti i momenti”

In questo modo anche l’industria si manteneva competitiva sul mercato internazionale perché la lira perdeva valore continuamente sulle altre monete e quindi i prezzi dei nostri prodotti erano buoni.

Il sistema (illusorio) ha potuto vivere così fin quando, come condizione per entrare in Europa, ci hanno imposto di mantenere il valore della lira entro certi livelli di riferimento con l’ Ecu (Serpente monetario).
Abbiamo dovuto smettere di stampare moneta ed é cominciato a crescere a dismisura il debito pubblico, non più pagato con la carta stampata.
Allora ci hanno detto che bisognava smettere anche di fare i debiti perché gli altri Stati Europei non volevano diventare soci con dei bancarottieri.
Per smettere di fare debiti è venuta di moda la privatizzazione delle aziende IRI, che erano delle macchine per fare i debiti. Invece i pensionati ed i cassintegrati non sono stati privatizzati. Nessuno li voleva.
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Ieri sera ho assistito ad una delle conferenze più interessanti che mi sia mai capitato di vivere.
Alla BCC(Banca di Credito Cooperativo) di SestoSG, ha parlato della Cina un Missionario del PIME, Bernardo Cervellera.
Una persona che ha vissuto dal 95 al 97 a Pechino ed è anche stato ospite in Italia di notissime trasmissioni televisive.
Riassumere quello che ha detto è per mè praticamente impossibile nello spazio di una email.
Cercherò di fornire qualche flash su aspetti che più mi hanno colpito e che sono fuori dalle visioni più comuni e diffuse.
Cervellera ha esordito con un concetto di base: la Cina è sofferenza.
Ha inizialmente riassunto la storia di come la Cina sia arrivata allo status di oggi, nazione formalmente comunista ma in pratica, selvaggiamente capitalista.
Storia che passa attraverso glorie errori ed orrori del periodo maoista, a milioni di morti di fame, con persecuzioni a tutte le forme di religione, buddista, cristiana ecc.
Oggi lanciatissima economicamente a livello mondiale, con un incremento del PIL medio annuo del 9% costantemente da oltre vent'anni. Un fenomeno assolutamente unico.

Oggi la Cina spaventa economicamente l'occidente per la capacità competitiva, ed entusiasma quegli operatori economici che hanno deciso di lanciarsi negli affari dentro al gigante asiatico.
Pochi percepiscono invece il pericolo rappresentato dalle situazioni di marginalità in cui vive una quota enorme di cinesi.
Si parla di ottanta milioni di contadini che provano ad entrare nel mondo industriale della città e sono trattati come animali.
Lavorano in condizioni disumane ottenendo un ciotola di riso quotidiana ed una miserevole paga, una volta l'anno, ma spesso non vengono pagati.
Questa massa umana schiavizzata (questo è il termine reale), che sempre più spesso si ribella, rappresenta una bomba, che, date la dimensioni, può provocare sconvolgimenti imprevedibili a livello planetario.
La percezione di questa situazione da parte dell'occidente è, in generale, che l'evoluzione sociale porterà, con la contestazione, ad un rallentamento della crescita economica cinese.
Ma è una visione ottimistica, legata alla storia recente dell'occidente, inapplicabile alla Cina di oggi.
Bisognerebbe guardare più realisticamente alla Russia del 1917.
Una rivoluzione in Cina potrebbe essere una sorta di tsunami economico/politico per il mondo intero, in una società globalizzata, e quindi interdipendente.

In mezzo a tanta incertezza e paura, ci sono anche aspetti di speranza: un ritorno spontaneo dei cinesi alla relgiosità, in particolare al cristianesimo.
Un ritorno, fino a poco tempo fa contrastato duramente dalla classe politica, (60 milioni di membri del partito comunista).
Un ritorno che inizia ad essere visto come una speranza dai politici stessi, angosciati da quello che si prospetta a causa dell'evoluzione economica selvaggia.
Un altro aspetto che io vedo con favore è la penetrazione cinese in Africa, non certo perchè favorisca l'Europa. Anzi.
L'Europa ricca, pigra, egoista, immobile, senza più slanci, dedita a proteggere la sua agricoltura dalla concorrenza africana, potrebbe vedere l'Africa cinesizzata.
Questo è l'unico futuro in cui può sperare l'Africa.
I cinesi sono disposti a trasferirsi in Africa, a lavorare, portare capitali e tecnologia e di conseguenza sviluppo economico e sociale, in cambio di materie prime, cioè petrolio e metalli necessari alla loro economia.
Mi auguro che succeda.
Carissimi saluti a tutti
Franco

lunedì, novembre 28, 2005

Come la gente ha vissuto il 25 aprile


Che giorno è stato per la gente comune il 25 aprile 1945 ? Quelli che non l’anno vissuto come lo immaginano ?
La storiografia ufficiale lo descrive come un giorno di festa popolare, come all’arrivo degli americani nelle città del sud, quando questi distribuivano cioccolato ai bambini e rimorchiavano le ragazze, ma è un’immagine retorica.

Il giorno del 25 aprile non c’era la gente in strada con le bandiere, gli evviva, i canti, ad accogliere i partigiani, ed abbracciarli. Non c’erano le ragazze che si innamoravano a prima vista di loro, ecc. ecc. ecc. come vuole la storiografia ufficiale. Tutto questo non c’è stato.

A livello popolare c’è stato sicuramente grande sollievo per la fine della guerra.
Insieme a questo però, la vista di morti sconosciuti sulle strade e di tutti quegli uomini armati, desiderosi di vendetta che portavano in corteo le loro prede da ammazzare, induceva timore in gran parte della gente. A livello di civiltà c’è stata una drastica regressione storica.
Il racconto di Luigi Abordi mi richiama alla mente i romani vincitori di ritorno dalle Gallie, con Vercingetorige portato in corteo come trofeo di guerra da mostrare al popolo, e come conclusione da ammazzare trionfalmente in pubblico.

Tra l’altro voglio far notare l’eccezionalità e la validità della testimonianza di Luigi: lui si trovava a vivere nel punto più simbolico di quelle giornate, a livello di tutta la Nazione: vale a dire in Piazzale Loreto. Se non c’era festa in Piazzale Loreto non c’era festa da nessun’altra parte. In effetti si stava celebrando la vendetta.

Nei giorni successivi si ballava in gran parte dei cortili, questo si, ma è un discorso diverso, umano, liberatorio, festaiolo, non celebrativo.
Erano tornati gli uomini dalla guerra, quelli nascosti erano usciti e dopo 5 anni era tornato il permesso di suonare e ballare in pubblico. Durante la guerra era proibito ballare, per rispetto ai soldati che stavano al fronte.

Per concludere voglio riportare alcuni passaggi dell’articolo di Ermanno Olmi.

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Franco Valsecchi

Sono meglio i ladri o gli stupidi ?


Ho detto alcuni giorni fa.
In Italia, storicamente, parlando degli ultimi trent’anni i soldi sono stati sia rubati che sprecati.

Quelli sprecati per stupidità da marxismo-leninismo idiota (PCI-DC) rappresentano il 90% e sono stati la causa che ha rischiato di farci buttare fuori dall'Europa.

Allora gli italiani si devono decidere se preferiscono farsi governare dai ladri o dagli stupidi.
Io, personalmente, ho una preferenza per i ladri: sono immorali ma sono meno pericolosi degli stupidi.
Possono sembrare battute gratuite.
Qualcuno può pensare che siano battute di spirito per tirare acqua al mio mulino.
E invece no cari signori.
Qui lo dico e qui lo spiego ragassoli.
Fatto storicoInnanzitutto c’è un fatto storico incontestabile:
l’entrata dell’Italia nel sistema monetario europeo è stata messa in forte discussione dagli altri Paesi europei, a causa del debito accumulato e questo ostracismo è durato fino al 1999.
Per poter entrare nel sistema abbiamo dovuto impegnarci a fermare l’emorragia.
Gli altri si sono accontentati che smettessimo di far debiti. Se non c’era l’occasione di dover entrare in Europa noi andavamo avanti fino alla bancarotta.
Quello che avevamo sul gobbo, era pari al 112% del PIL, cioè il 112% di tutto quello che produce l’Italia in un anno. In data di oggi hanno detto che ora è il 106%

Restare senza mangiare, senza andare in macchina, dal parrucchiere, ecc. ecc. pur lavorando, per un anno, in 57 milioni di persone, non basta a pagarlo.
Il livello di riferimento da raggiungere, statuito dai Trattati di Maastricht per il debito, è del 60% del PIL, valore al quale sono attestati mediamente i nostri partners.

Cause
Il fenomeno è iniziato negli anni settanta, all’epoca di Moro e Berlinguer, quando l’Italia è stata colpita da una epidemia di marxismo acuto, epidemia da idiozia di comunismo pacifico, penetrata dappertutto, anche nella Democrazia Cristiana, anche nella Chiesa Cattolica.
Il risultato è che i comunisti dicevano quello che si doveva fare, per il bene del popolo, e i democristiani eseguivano.
E’ nata così l’Anonima Bancarottieri di Stato (ABdS) li chiamo così perché non sono individuabili in una persona.
Non era come oggi che l’opposizione ha il privilegio di poter indicare il responsabile di ogni male in un singolo individuo. Il Cavaliere del Male.
Chi reagiva
A questo andazzo reagivano in pochissimi.
A livello politico era il solo Ugo LaMalfa a farsi sentire, ed era così ascoltato che raccoglieva il 5% dei voti, compreso il mio. (non sto parlando col senno di poi)

A livello giornalistico, l’alfiere della contestazione al sistema in atto era Indro Montanelli, che per poter dire la sua ha dovuto lasciare il Corriere e fondare il Giornale.
Circa a metà degli anni settanta, in occasione di una tornata elettorale, Montanelli rivolse agli elettori un invito rimasto storico:
Tappatevi il naso e votate Democrazia Cristiana.
Cosa voleva dire ?
Voleva dire che i democristiani erano corrotti, erano ladri e quindi puzzavano, ma era meglio votare per loro piuttosto che per gli onestissimi ma stupidissimi comunisti, che avrebbero pilotato l’Italia in un burrone.

E’ pressappoco quello che ho detto io alcuni giorni fa (riportato sopra) con altre parole .

Quando è finita la gestione ABdS ?
L’ABdS ha poi condotto la danza fino a circa il 1991, quando abbiamo dovuto affrontare l’Europa.
La Russia era andata in bancarotta l’anno prima e i comunisti, a malincuore, si sono rassegnati a dimenticare il sol dell’avvenire

A quel punto i nostri dell’ ABdS hanno passato le carte nelle mani di Azeglio Ciampi, che non era un politico..
Era il Governatore della Banca d’Italia, cioè un impiegato statale che aveva fatto carriera perché sapeva leggere scrivere e far di conto.
Ciampi è diventato Presidente del Consiglio
A quel punto anche quelli dell’ABdS erano tutti diventati europeisti fino al collo.

TangentopoliCon il crollo della Russia, l’America ci ha lasciati soli.
A quel punto, in Italia abbiamo potuto fare quello che volevamo e si è scatenato Antonio Di Pietro, mettendo sotto accusa, a termini di legge, quelli che avevano rubato.
Ed il grande spreco ? Quello no ? Quello non è stato inquisito ?
Quelli che invece di investire i soldi in opere pubbliche li hanno spesi in idiozie ? Quelli che hanno sperperato il patrimonio dello Stato ?
Quei che gan mis i scimes in de la crapa a la gent ?
(Quelli che hanno messo le cimici nella testa della gente ?)

No, loro no, non sono perseguibili perché non è scritto da nessuna parte nelle leggi dello Stato
di come vadano spesi i soldi.
E’ scritto solo nelle regole del buon senso
Franco Valsecchi

domenica, novembre 20, 2005

L’oro dei contadini

LA TRADOTTA CHE VIENE DA TORINO
A MILANO NON SI FERMA PIU’
MA LA VA DIRETTA AL PIAVE
CI-MI-TERO-DELLA-GIO-VEN-TU’

Dopo questa epopea ne sono venute delle altre.
La storia non si ferma.
Mai.
Qualche amico mio potrà trovare strano che io pretenda di parlottare romagnolo.
Io, nato alla periferia di Milano, alla Bovisa, in via privata Costanzo Cantoni al numer vot.
La ragione c’è: ho delle radici in Romagna.
Non però dalla parte dalla riviera, delle vacanze al mare, delle pensioni con l’ombrellone in spiaggia.
Dall’altra parte, al di là della via Emilia, la Romagna delle colline e dei contadini dalle mani grandi, che sudano il loro pane quotidiano.
Mia madre (classe 1907) veniva di la.
Adesso arrivano in Italia con i gommoni dall’Africa.
Lei è arrivata a Milano con il treno a vapore da Bologna, negli anni 20, ed ha poi incontrato mio padre, ex ragazzo del 99.
Mio padre, anni prima, aveva preso la tradotta per il Piave, a Milano.
Mio padre non ha dovuto prendere il treno a vapore per trovare lavoro.
Lui era nato alla Bovisa, in via Cantoni al numer vot. Gli è bastato restare dov’era.
Autunno 1942.
Giunti alla seconda guerra mondiale, nel 1942 gli anglo-americani bombardano Milano.
Nell’autunno di quell’anno il Duce alla radio dice a tutti di sfollare dalle città, di andare a vivere in campagna.
Ed è nato così l’agriturismo.
Mia madre e noi quattro bambini, io primogenito a nove anni, ci trasferiamo a casa di suo fratello Pippo, in una casa colonica lungo il fiume Sillaro, sull’Appennino.
Il fiume Sillaro scendendo in pianura incrocia la via Emilia in quel di Castel S.Pietro, a sud di Bologna.
Su per quelle valli niente corrente elettrica all’epoca. Lumi a olio in settimana, candela alla domenica.
La terra argillosa delle colline quando piove diventa colla, stucco per fare le statuine.
Quando cammini ti segue sotto le scarpe, e se non la togli è lei poi che ti toglie le scarpe.
Quando invece batte il sole la terra diventa sasso.
Nello e Balot
Zio Pippo ha una stalla con mucche e buoi.
Le mucche, se mi ricordo bene sono sei. Sono mucche che fanno il doppio lavoro.
Adesso siamo abituati a vedere mucche che hanno una damigiana piena di latte in mezzo alle gambe posteriori, che però fanno fatica stare in piedi.
Le mucche di zio Pippo hanno una cosa del latte della misura di uno scolapasta. Mangiano l’erba di Spagna asciutta delle colline e fanno latte quanto basta per la famiglia, compreso il cacio.
In più però fanno anche il contadino. Le usano per tirare carretti ed altri lavori non troppo grossi. Si guadagnano bene i tre pasti al giorno.
E arriviamo a parlare dei buoi.
Zio Pippo ha due buoi Due buoi veri. Due veri buoi.
Due monumenti.
Due statue viventi imponenti, meravigliose.
Si chiamano Nello e Balot.
Mai più visto niente di simile. Ci voleva Michelangelo scultore per tramandarli degnamente.
Nello e Balot servono per arare il terreno argilloso che c’è in zona, pastoso con l’umido, duro con il secco.
Nello e Balot sono due trattori.
Nello e Balot tirano l’aratro, che però deve essere tenuto dentro al terreno da braccia d’uomo … disumane, a misura con Nello e Balot.
Braccia d’uomo con bicipiti d’acciaio e mani grandi, consacrate dal lavoro.
Quelli che hanno inventato lo sport del sollevamento pesi non hanno mai visto i contadini di Romagna tenere l’aratro.
Era qui che dovevano venire a fare le olimpiadi
L’oro dei contadini
Estate
Le colline, spoglie di alberi, sono un granaio, creato dalla “battaglia del grano” lanciata dal Duce.
Campi tagliati verticalmente da stradine bianche che vanno dritte alla meta senza curve.
Strade fatte per buoi, somari e umani. I motori non ci sono.
Inutili se anche ci fossero.
In Giugno, con il grano maturo, le colline hanno il colore del sole. Sono bionde, dai riflessi dorati.
Quando c’è il vento sono onde di sole che si propagano e si ripetono, come il ritornello di una canzone. Un mare d’oro. L’oro dei contadini.
A quel punto inizia l’epopea estiva.
Sono gli sport della stagione, fatti sotto il sole a picco da uomini e donne, senza macchine tra i piedi, con le braccia, con le urla e le bestemmie.
Gli sport sono la mietitura e la trebbiatura
Uomini donne e bambini si guadagnano da mangiare per tutto l’anno.
Per lo meno ci provano.
La sfida è quella di riempire le case con sacchi di grano, distribuiti un po’ dappertutto, anche sotto i letti. Per campare fino a Giugno dell’anno prossimo.
Come fanno le formiche.
Quando vai a letto la sera, il profumo del grano, dolce, domestico, buono, rassicurante, ti accompagna il sonno. E’ l’odore del pane prima che passi dal mulino e dal forno.
La mietitura
Una casetta bianca si staglia, in cima, sul profilo della collina, sul versante opposto della valle.
E’ una di quelle casette che gli scolari di prima elementare disegnano perfettamente, meglio degli architetti.
Intorno alla casetta niente.
Le famiglie sono distribuite nei campi.
Gli uomini con la falce in pugno.
Donne e ragazzi a legare i covoni ed ammucchiarli, pronti per la trebbiatura.
Li vedo dalla parte opposta della valle, con in testa i loro cappelli di paglia.
Sento i loro richiami lontani.
E’ un presepe laborioso che mi affascina .
Adesso ho 10 anni. Vorrei tanto essere tra loro, essere uno di loro.
La trebbiatura
Niente di simile si vedrà più.
La trebbiatrice, macchina mostruosa, a vapore, arriva da non so dove, trainata da un trattore lungo la strada di fondo valle.
Bisogna portarla in cima ad una collina per trebbiare tutto il grano del comprensorio.
Tutti i contadini della zona portano i loro buoi per agganciarli al traino, animali con motori diesel nei quarti posteriori, buoi che adesso ci sono solo in cartolina.
Una dozzina di pariglie di buoi vengono agganciati in serie davanti alla trebbiatrice, con uno che li guida tirando per le narici la prima coppia.
Il traino sterza in su il convoglio verso la stradina bianca che punta direttamente alla cima.
Io li vedo dalla parte opposta della valle.
Sento le urla dei contadini incazzati che incitano e bastonano i buoi.
Queste urla lontane si ripercuotono, si ripetono e sovrappongono. Gli echi riempiono la valle. Sono voci lontane che si spengono, continuamente coperte e sostituite da altre.
Conferiscono grandiosità alla scena.
E’ un coro di urla e bestemmie che si sublima e si trasforma in un’armonia che si fonde con la scena e gli da voce.
E’ un coro diretto da qualcuno che sta più in su, che non si vede ma si fa sentire.
E’ una lode sacra al lavoro umano.
Lentamente il convoglio, sale con la pendenza di un ascensore, si inoltra sulla stradina bianca in mezzo al grano, all’oro dei contadini, e va su, va su piano ma sicuro, come il passo dei giganti buoni che lo tirano.
Il coro degli insulti ai buoi è una musica che riempie la valle.
Le urla non servono. I buoi andrebbero ugualmente e serenamente in su.
I contadini gridano perché devono gridare. E’ il loro ruolo. Devono segnalare la loro presenza e riaffermare la loro autorità.
Se non lo facessero perderebbero di credibilità presso il vicinato.
Si troverebbero a disagio anche la domenica quando vanno a giocare a carte all’osteria.
Purtroppo non c’erano ne Federico Fellini ne Ermanno Olmi a filmare. Adesso è troppo tardi.
Potrebbe fare qualcosa il genio musicale di Bepi De Marzi, con le voci dei suoi Crodaioli.
Lui potrebbe tentare di tramandare alla storia almeno la colonna sonora.
Ora c’è il silenzio.
Ora i buoi non ci sono più.
I contadini con le mani grandi che urlano e bestemmiano, neanche loro ci sono più, il coro che inonda la valle non c’è più e neanche le stradine bianche, e neanche l’oro dei contadini, il grano e la battaglia del grano.
Il coro è spento. C’è solo il silenzio. Ci sono solo i ricordi.
Agosto 1943
In agosto 1943 avviene il più grande bombardamento di Milano
C’è dentro anche la nostra casa, al quart pian in via Cantoni al nùmer vot.
Lo veniamo a sapere da una lettera che ci manda nostro padre.
In via Cantoni al nùmer vot non ci sono morti. Nel resto di Milano, tanti.
Chi voglia inoltrarsi sul viale centrale del Cimitero Maggiore, el cimiteri de Mùsoc, a metà circa del percorso incontra una rotonda, un ossario, dove sono raccolti i resti dei morti di quei bombardamenti.
Fino ad un po’ di anni fa, sulle lastre di ogni singolo loculo, c’erano incisi il nome della persona con la data del bombardamento, il nome della via ed il numero civico dov’era avvenuto.
Devono avere restaurato l’ossario un po’ di anni fa.
Adesso sulle nuove lapidi c’è solo il nome della persona.
La stupidità degli architetti d’oggi è solamente immensa.
Come si fa a distruggere la storia con tanta superficialità ?
Ritorno a casa
Mio padre, rimasto senza casa a Milano, trova modo di riparare un’abitazione, ricostruendo un muro, al primo piano della stessa casa di via Cantoni, e li si trasferisce.
Intanto gli Anglo-Americani risalgono la penisola e nell’inverno del 1943 sono circa a metà strada tra Roma e Firenze.
Mio padre è preoccupato del fatto che si possa rimanere tagliati fuori, lui a nord del fronte e noi a sud, e decide di farci rientrare a Milano.
Siamo ormai a dicembre 1943
Mia madre organizza il rientro facendoci portare a Bologna da un carro agricolo.
Alla stazione di Borgo Panigale si prende il treno per Milano. Ci fanno salire su un carro merci.
Non ci sono più carrozze passeggeri.
Questo è uno degli ultimi convogli che attraversano il Po a Piacenza.
Dopo qualche settimana il ponte del Po viene bombardato dagli Americani.
Il percorso dalla Stazione Centrale di Milano alla Bovisa lo facciamo sul cassonetto di un triciclo a pedali.
E’ il servizio taxi disponibile in quel momento.
Quando entriamo in casa, al primo piano, e già sera inoltrata, è già buio.
L’aspetto dell’abitazione è miserevole, reso ancora più squallido dalla luce fioca di un’unica miracolosa lampadina.
Mia madre non può fare a meno di esclamare : che brutto !!!
Poi si corregge. Prende coscienza della situazione, ci abbraccia e ripete a tutti : sono tanto, tanto felice che siamo qui ancora tutti insieme, sono tanto felice !!!.
Che bèla mama che gavevi mi !!! Che bèla mama !!!
Franco

Il ricordo di Giovanni

Carissimo Franco,
anche se non sono milanese (vengo dalla bassa modenese, al confine con il ferrarese.
Il paese e` Finale Emilia.
Il mio paese degli anni '40-50 (5-6 mila abitanti a quei tempi) puo` essere paragonato ad un quartiere popolare di Milano.
Noi avevamo il fiume (il Panaro), i piu` fortunati avevano un locale dove poter lavare in vasconi di cemento.
Questo locale quasi sempre si affacciava sul cortile ed aveva il pavimento in terra battuta, come del resto molte botteghe artigine adiacenti.
Ricordo il venditore del ghiaccio col suo carretto, il venditore di pesce e rane che girava con la sua mercanzia in una cassetta di legno posta su un portapacchi (dietro) della bicicletta, il venditore di latte, cha arrivava col latte appena munto dalla stalla, in bicicletta col suo carretto o con i bidoni appesi al manubrio.
Ricordo che si aspettavano "i magnan" (spesso zingari, allora non erano cosi` malvisti) che viaggiavano di paese in paese e che arrottavano coltelli, aggiustavano pentole in rame, alcuni facevano lavori di facchinaggio o piccoli lavori in casa.
Ricordo il venditore di legna e carbone col suo carro tirato dal cavallo (o forse mulo), i macellai che con un carretto spinto a mano, tutto chiuso e foderato di lamiera e dipinto di rosso, andavano al macello e, per alcuni anche deposito frigorifero o facevano le consegne, il camion dei pompieri che ogni giorno veniva usato per lavare le strade.
Ricordo i sacchi di merce esposti per la vendita in drogheria ed in particolare quello del riso in cui mi piaceva tanto affondare le mani e far scorrere il riso fra le dita (di nascosto naturalmente), i barattoli in vetro da cui il droghiere pescava le caramelle di zucchero.
Ci sono tanti altri ricordi che si affacciano alla mente.
Grazie ancora per il tuo racconto veramente bello.
Giovanni
Bene, se permettete aggiungo anch'io in modo telegrafico qualche flash all'elenco di Giovanni.
Anche se sono cose personali penso che molti ci si ritroveranno e che gli entusiasti a oltranza del progresso potranno provare un piacevole brivido nel constatare quanta strada abbiamo compiuto da quei tempi bui.
Allora, listo alla rinfusa, come mi viene in mente:
- Lo zucchero venduto sciolto nel cartoccio blu;
- Il gelataio col triciclo;
- Il carrettiere in città col cavallo che scacazzava sull'asfalto (io andavo a raccogliere il letame per l'orto di mio padre);
- La carrozzella in attesa di clienti davanti alla stazione (dalla puzza d'orina anche un cieco si accorgeva di essere arrivato alla stazione. Mi ricordo che quando dipinsero le striscie di uno dei primi passaggi pedonali, uno di questi cavalli si prese paura e non voleva attraversarlo);
- L'unico telefono del paesello. Per ricevere una telefonata si doveva chiamare qualche ora prima l'addetto del posto pubblico che ti veniva a cercare a casa.
- L'unico telefono privato del caseggiato (del vicino di pianerottolo);
- Il primo telefono di famiglia. Un monumento tutto nero appeso al muro in posizione di riguardo;
- Il contadino che all'alba partiva ad arare, per pendii impossibili, con un coppia di buoi (va la' Mor,... gridava);
- L'arrotino, con una strana bicicletta convertibile (si trasformava in una mola per arrotare i coltelli);
- Le mondariso nelle risaie (oggi ci sono i diserbanti);
- Le rane nelle risaie (le hanno uccise i diserbanti);
- La nebbia (quella che si tagliava col coltello. Quella di oggi fa ridere);
- Mio zio che faceva il bagno al mare con la canottiera;
- La lucerna a petrolio;
- La curva di porfido sul circuito di Monza;
- La Mille Miglia (quella vera. Non c'era ancora stato l'incidente di Castellotti);
- Il Settebello (era un treno, non un preservativo);
- L'olio comprato sciolto in un'apposita bottega. D'inverno c'era un freddo tale che formava dei bellissimi cristalli nel bottiglione di vetro;
- Il vescovo di Prato che tuonava contro due suoi concittadini additandoli come "pubblici concubini";
- Oscar Luigi Scalfaro che in un ristorante di Roma critica scandalizzato una signora a suo parere troppo scollata e viene sfidato a duello dall'accompagnatore della signora;
- Un medico (non ricordo il nome) che dopo aver procurato un aborto fugge in Sudamerica (chissà se è tornato e ha chiesto i danni allo stato italiano);
- Lascia o Raddoppia cui si assisteva religiosamente nel bar del quartiere (un buon mezzo chilometro di strada);
- Un non meglio identificato mio coetaneo di cui si favoleggiava che, dopo aver messo nei pasticci due ragazze, fosse corso ad arruolarsi nella Legione Straniera (questa non ho mai saputo se era vera. Tuttavia il solo fatto che apparisse verosimile la dice lunga. Significativi anche i commenti ammirati: "Certo che farsela dare addirittura da due...");
- I tram col bigliettaio;
- I treni a vapore;
- Autoblindato degli Alleati sulla Via Aurelia (ricordo molto vago. Adesso per vederne uno bisogna andare fino in Iraq);
- La Befana del Vigile;
- Le suore negli ospedali, con un'enorme cuffia che sembrava la cupola del palazzetto dello sport; - Il Novara (di Piola? non son sicuro) in serie A;
- Le barche di legno (intendo dire col fasciame di legno);
- Le donne che andavano a far la spesa con la gaetana (una specie di borsa. Gli shopper di plastica dovevano ancora arrivare);
- Le donne con le calze di seta con la cucitura dietro;
- La Balilla (era un'automobile);
- La Littorina (era un treno);
- La Fiat 1400 con scocca portante e senza parafanghi esterni. Ci sembrava un oggetto venuto da un altro pianeta ("sembra americana", era il massimo dell'encomio allora) e De Chirico la ritrasse in un quadro (ignoro se preso dall'ispirazione o se profumatamente remunerato dalla dirigenza Fiat di allora - leggi Valletta, Gianni Agnelli aveva i calzoni corti);
- L'autostrada Milano-Laghi a una carreggiata. Si pagava all'entrata e in certi caselli per uscire si doveva girare a sinistra (avete capito bene, si doveva tagliare la strada a quelli che venivano incontro. L'addetto del casello guardava da una parte e dall'altra e poi ti faceva passare);
- La Giulietta Sprint col cambio al volante;
- La Giulietta TI (berlina 4 porte, credo che sia uno dei modelli col maggior tasso d'incidenti) coi bellimbusti che stavano seduti in tre davanti e il sedile posteriore vuoto;
- Autostrade e statali di grande comunicazione a tre corsie. Quella centrale serviva per i sorpassi, per il traffico in entrambi i sensi. Garantito il frontale se due sorpassatori ostinati non volevano mollare per primi. Garantita l'emozione sempre, meglio che al Luna Park;
- La sostanziale mancanza di inquinamento. Be' adesso la smetto per non approfittare troppo della vostra pazienza. Se qualcuno ha qualche altro reperto preistorico da aggiungere alla collezione si faccia avanti, si potrebbe mettere insieme un bel documento.
Franco
Aggiungo anch'io.


Avevo circa 6/7 anni e ricordo che a quel tempo mia madre lavava i panni al fosso chiamato da noi il "fossetto" in Vicolo dei Lavandai a Milano.
Sull'angolo di questa via, dove ora c'è un ristorante, a quei tempi c'era un negozio che vendeva acqua calda, soda, lisciva (ora si chiama sodio carbonato), sapone e ghiaccio.
Una volta mia madre mi chiese di andare al negozio a comperare dell'acqua calda perchè doveva lavare i panni e mi diede un secchio vuoto da riempire.
Quando le riportai il secchio mi sgridò perchè durante il tragitto dal negozio al posto dove lei stava lavando i panni avevo versato lungo il percorso parecchia acqua calda dal secchio, da quel giorno non mi chiese più di comprare acqua calda.
Gianpiero





venerdì, novembre 18, 2005

Guerra

ARMISTIZIO DEL 8 SETTEMBRE 1943


Sbarco Alleato in SiciliaIl 10 luglio 1943 gli anglo-americani (gli Alleati) sbarcano in Sicilia. E’ subito chiaro che la guerra è persa.
Per evitare inutili carneficine, Mussolini viene pressato dagli alti comandi militari italiani a chiedere un armistizio, ma lui non riesce a farlo. E’ una cosa più forte di lui. E’ soggiogato da Hitler.
L’armistizio viene fatto in due tappe, essendo necessario, prima di poter avviare trattative con gli Alleati, toglier di mezzo Mussolini.

Caduta del governo MussoliniIl 25 luglio, il Rè Vittorio Emanuele III toglie la carica di Primo Ministro a Mussolini e lo sostituisce con il Maresciallo Badoglio, con l’intenzione non dichiarata ma evidente di arrivare ad un armistizio.
L’armistizio viene raggiunto solamente l’8 settembre 1943, quarantatre giorni dopo.
In questo periodo, Badoglio ed il Rè, riassicurano in continuazione i tedeschi che continueremo la guerra al loro fianco.
I tedeschi dal canto loro, avendo intuito le intenzioni del governo italiano, durante i 43 giorni di intervallo trasferiscono in Italia grandi quantità di soldati e armamenti, al duplice scopo di frenare gli Alleati e di trovarsi pronti a continuare la guerra da soli.

Annuncio dell’armistizio
La cosa viene gestita in modo disastroso. L’annuncio dell’armistizio viene comunicato agli italiani la sera dell’8 settembre per radio da Badoglio, e termina in modo ambiguo:
…ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare … ma (le forze italiane) reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza (i tedeschi)….

Per sfuggire ai tedeschi, il mattino successivo il Rè, Badoglio e tutti i Generali dello Stato Maggiore delle Forze Armate abbandonano Roma e si trasferiscono a Brindisi, senza costituire alcun altro centro di comando.
Nascerà così a Brindisi il “Regno del Sud”.

In quel momento ci sono circa due milioni di italiani in armi, metà in Italia l’altra metà fuori (Grecia, Albania, Jugoslavia).

Gestione dell’armistizio
Il bollettino letto alla radio è l’unica informazione per tutti, militari e borghesi, soldati semplici e Generali. I comandi di tutte le unità, sparsi nel territorio, non preavvisati non sanno come comportarsi. Quando chiamano il Quartier Generale a Roma nessuno risponde. Tutti i Generali dello Stato Maggiore sono scappati.
I Comandi dislocati in Italia si consultano tra loro e adottano un’unica linea di condotta, vale a dire: mandare tutti a casa, in abiti borghesi per sfuggire ai tedeschi, che a loro volta tentano di rastrellarli per trasferirli nei campi di concentramento in Germania.

Alcuni dei Comandi all’estero, lasciati soli, a capo di decine di migliaia di uomini, prendono tragiche cantonate; si mettono a fare le guerra contro i tedeschi.
Il caso più clamoroso nell’isola di Cefalonia in Grecia che si conclude con una strage.
E’ il momento più basso nella storia dall’unità d’Italia, cioè dal 1860.

Creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI) di MussoliniIl 12 settembre i tedeschi vanno a liberare Mussolini, custodito dai carabinieri sul Gran Sasso (a Campo Imperatore), e lo portano a Berlino da Hitler. Il 18 settembre, quindi 10 giorni dopo l’armistizio, Mussolini dalla radio annunucia agli italiani la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI), cioè il Governo della parte d’Italia non ancora occupata dagli Alleati. In quel momento il fronte è ancora in Calabria.

Dichiarazione di guerra alla Germania
Nell’Italia meridionale al di la del fronte, il Governo del Regno del Sud (Rè e Badoglio) nel frattempo dichiara guerra alla Germania (13 ottobre).
Questa è la ciliegina sulla torta che stravolge completamente il significato dell’armistizio e lo fa diventare, davanti al mondo, un voltafaccia dell’Italia.

Responsabilità
E’ chiaro che il principale autore di questo disastro è stato Mussolini, due volte colpevole. Prima colpa l’entrata in guerra, seconda colpa il non avere fatto lui l’armistizio, come sarebbe stato suo dovere..
L’avrebbe potuto gestire in ben altre condizioni, portando preventivamente forze al Brennero per bloccare i tedeschi. Aveva ancora in casa uomini e mezzi per farlo.
Avrebbe evitato la spaccatura dell’Italia in due, con tutte le sue conseguenze.
Anche il Rè avrebbe potuto fare altrettanto, ma solo realizzando simultaneamente la sostituzione di Mussolini e l’armistizio. In questo caso la resa avrebbe dovuto essere senza condizioni. Le lungaggini di un armistizio concordato sarebbero state in conflitto con la fulmineità richiesta nei confronti della Germania.
Qualcuno potrebbe obiettare: Mussolini doveva almeno evitare di costituire la RSI, cioè il governo fascista del nord (ovviamente al prezzo di farsi fucilare da Hitler).
Rispondo: per gli italiani sarebbe stato peggio. Si sarebbero trovati a vivere in un territorio semplicemente occupato dai tedeschi, inviperiti per il voltafaccia dell’Italia, senza un governo italiano amico.



DESTINO DEI SOLDATI ITALIANI DOPO L’8 SETTEMBRE

L’immagine degli italiani in divisa all’indomani dell’8 settembre 1943 può essere concepita come quella di un formicaio impazzito.
Un quadro preciso di quanto accaduto è difficile da fare. Esistono solo alcune cifre complessive che possono dare un’idea approssimativa.

Uomini in campo
Due milioni di italiani erano in divisa l’8 settembre, metà all’estero e metà in Italia, distribuiti tra nord e sud.
In quel momento il pensiero prevalente nella mente dei soldati era quello di mettersi in disparte, evitare di rischiare inutilmente la vita in una guerra ormai persa.
Moltissimi ex-combattenti, nel nord Italia, si erano nell’immediato nascosti, sia in città che sulle montagne, prevedendo una fine molto vicina della guerra. Una questione di settimane, che è poi diventata di 20 mesi.
Arrivati all’inverno 1943-1944, inverno freddissimo, molti, attratti anche da una amnistia, si sono consegnati ai tedeschi

Nuove destinazioni
Alla fine del 1943 c’erano in tutta l’italia del nord solamente quattromila partigiani, inquadrati nei ranghi del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). C’era però sicuramente in aggiunta un numero imprecisato di uomini nascosti, anonimi, intenzionati a non partecipare ad alcuna lotta armata.
Verso la fine del 1943 erano 600.000 gli italiani prigionieri nei campi di concentramento in Germania. A questi è stato offerta l’alternativa di arruolarsi nelle Divisioni della Repubblica Sociale Italiana (RSI) che il governo Mussolini andava formando, oppure di rimanere nello stato di prigionieri di guerra.
La maggioranza ha optato per quest’ultima scelta.
Altre classi di giovani sono state chiamate alle armi nel territorio della RSI. Questi hanno continuato a separarsi in tre filoni: quelli che rispondevano alla chiamata (la maggioranza), quelli che si nascondevano e quelli che si associavano ai partigiani.

Riassunto
A guerra conclusa le cifre ufficiali parlano di quasi duecentomila uomini ai quali è stato ufficialmente riconosciuto il ruolo di “partigiano”.
Una cifra equivalente sul versante opposto è quella degli ex-combattenti nelle quattro Divisioni della RSI, e nei corpi di volontari.
Gli italiani che hanno combattuto per il Regno del Sud a fianco degli Alleati nal “Corpo Italiano di Liberazione” sono arrivati ad essere circa 50 mila nei primi mesi del 1945, cioè alla vigilia della fine.
Sintetizzando in modo molto approssimativo, si può affermare che al nord il 20% degli italiani in età militare ha accettato di continuare a combattere, una metà nelle file dei partigiani e l’altra metà per la RSI. Al sud un due o tre per cento ha affiancato gli Alleati.


MOTIVAZIONI A COMBATTERE OPPURE NO

Situazione politica
L’Italia alla fine del 1943 era divisa in due parti, entrambe amministrate da governi-fantoccio capeggiati dai due personaggi che avevano governato l’Italia nell’ultimo ventennio: il Re al sud, sotto l’egida degli anglo-americani, ed il Duce al nord sotto i tedeschi. Alla vigilia della guerra questi due personaggi godevano di una altissima popolarità in Italia. Nell’immaginario collettivo erano le autorità, uniche, indiscutibili e insostituibili.
Per me e molti miei coetanei i punti di riferimento erano papà, mamma, il Rè e il Duce. Nel 1943, a seguito delle sconfitte militari, questa popolarità era svanita

Il sentimento della gente in quel momento era soprattutto rivolto alla fine della guerra.
Il tema delle discussioni politiche non era incentrato sul tema democrazia o dittatura, concetti astrusi, quasi sconosciuti allora, bensì se fosse meglio stare con la Germania, con la Russia o con l’America.
La parola “democrazia” io (12 anni di età) l’ho sentita pronunciare dopo il 25 aprile del 1945. Molta gente confondeva il termine “democrazia” con il nome del partito Democrazia Cristiana.

Gettare le armi
Qual’era lo spirito dell’armistizio chiesto dall’Italia agli alleati ?
Risposta: l’Italia non ce la fa più. Quindi getta le armi
Secondo mè, coerentemente con questo concetto, gli italiani dovevano gettare le armi. Dovevano semplicemente smettere di combattere.
Se aggiungiamo che le sorti del conflitto erano segnate e l’Italia era destinata ad essere “liberata” dagli Alleati, (ed è stata liberata dagli Alleati) dobbiamo concludere che non aveva più alcun senso combattere, sia per l’una che per l’altra parte.

I volontari
Invece una parte di italiani, sia pure minoritaria, ha voluto continuare a combattere, dall’una e dall’altra parte belligerante:
Il “merito” che io riconosco a tutti costoro è quello di aver aumentato inutilmente il numero degli italiani morti in guerra.

I fascisti (stò parlando dei volontari) combattevano per l’ideale dell’onore militare, molto sentito in tutti gli Stati europei fino alla seconda guerra mondiale.
Combattevano per fermare gli anglo-americani. Combattevano con la consapevolezza che avrebbero perso la guerra. Sui campi di battaglia hanno perso 30.000 uomini.

I partigiani, al 90% comunisti, ovviamente tutti volontari, combattevano per l’ideale comunista. Loro pensavano di iniziare la trasformazione dell’Italia in Stato comunista. La loro era una tecnica di guerriglia, fatta di imboscate, consistente nello sparare alle spalle di soldati tedeschi o fascisti in divisa, prevalentemente in zone lontane dal fronte. Quando venivano catturati con le armi in pugno venivano fucilati sul posto.
Le perdite dei partigiani in termini di vite umane è stata di quasi 11.000 uomini.

La retorica sui partigiani
Sento dire dai politici rimasti ancorati all’ideologia comunista (ma anche Ciampi si esprime così) che non si possono mescolare indifferentemente i combattenti dell’una e dell’altra parte, nel senso che i partigiani erano dalla parte della ragione perché combattevano per la libertà.
Questo è totalmente immaginario (per i disinformati), oppure fazioso e retorico (per i consapevoli). La realtà è che i partigiani combattevano per ammazzare i fascisti e per fare la rivoluzione comunista.

I concetti di democrazia e libertà politica, non avevano cittadinanza tra i combattenti di allora, salvo che per una piccola minoranza evoluta, che non può essere rappresentativa.
(Partigiani Cattolici e del Partito d’Azione)
Per arrivare alla verità bisogna calarsi nella realtà di allora, e per chi non l’ha vissuta è difficile.
E’ difficile perché la storia, da che mondo è mondo, è raccontata dai vincitori, e quindi esposta in termini faziosi.

La realtà del 1944-1945 e oltreLe durezze della guerra avevano inasprito gli animi. Ammazzare gli avversari era un concetto normale. Aggiungi che l’ideologia comunista, di una eguaglianza tra le classi sociali, aveva conquistato comprensibilmente il cuore di molti operai e contadini.

Gran parte dei partigiani pensava che la lotta si sarebbe conclusa con la trasformazione dell’Italia in paese comunista. In questo senso sono continuate dopo la guerra le esecuzioni di ex-combattenti della RSI, ed anche di sacerdoti, che a quell’epoca venivano accomunati con i nemici del proletariato.
Peppone e Don Camillo sono parzialmente buona testimonianza dell’atmosfera del tempo, salvo che per gli omicidi che non ci potevano stare in un contesto satirico.

Infatti grandi quantità di armi nascoste sono state sequestrate dai carabinieri dopo trè anni dalla fine della guerra, dopo le elezioni del 18 aprile 1948. Depositi di armi denunciate dagli stessi leaders del PCI, preso atto che la rivoluzione non era più possibile.

I morti tra i combattenti della RSI sono stati in totale 50.000, di cui 20.000 nel dopoguerra per mano degli ex partigiani, dal 25 aprile 1945 in avanti.
Purtroppo gran parte di questi ventimila non erano i volontari delle Brigate Nere ma ragazzi di leva, colpevoli solamente di avere risposto alla chiamata alle armi.
E’ un quadro tragico che non ha niente a che vedere con gli ideali di libertà e democrazia.


CONSIDERAZIONI PERSONALI

Esperienze personaliIl giudizio su quello che è stata la guerra civile, cioè il reciproco massacro tra italiani, dal 1943 al 1945, più la coda a senso unico, fino al 1948, dipende da diversi fattori personali.
Incidono sicuramente le simpatie politiche di ciascuno, le quali sono peraltro maturate da esperienze personali, vissute o ereditate dalla famiglia. Gli schieramenti non nascono senza motivazioni. Resta il fatto che l’Italia è tuttora divisa in due.

Si tenga anche conto che all’epoca dei fatti la comunicazione era limitatissima. Durante la guerra, se rifletto sulla condizione del mio ambiente sociale (niente telefono e radio), mi rendo conto che si veniva a sapere solo quello che succedeva nel raggio di un chilometro, pur vivendo in una grande città.
Voglio raccontare le poche cose che ho sperimentato io dal vivo, cioè due episodi ed il racconto di un vicino di casa.

Un morto sul marciapiedi
Prima esperienza nei giorni immediatamente dopo il 25 aprile. Stavo andando a Messa e arrivato in Piazzale Lugano, dove inizia il Ponte della Ghisolfa, c’era sul marciapiede il corpo di un uomo morto (era il primo morto che vedevo in vita mia) con la testa in una pozza di sangue non ancora indurito. Era un uomo di mezza età vestito in borghese con abiti modesti. Lo avevano sicuramente prelevato di notte e ammazzato in un punto che fosse ben visibile.
La gente che passava come mè per andare a Messa sostava un attimo e poi proseguiva in silenzio. Si capiva che tutti erano impressionati, spaventati. Non osavano fare commenti di alcun tipo.

Simulazione agghiaccianteSeconda esperienza sempre negli stessi giorni, in via Bodio, strada di transito a pochi passi da casa mia, percorso quasi obbligatorio uscendo da via Cantoni.
Ricordo che da via Jenner giunse una moto-carrozzetta. Quei veicoli da trasporto merci a trè ruote tanto in uso allora. Alla guida un partigiano (dopo il 25 aprile erano tutti in abiti militari) e posteriormente nel cassone da trasporto merci, due partigiani in piedi. In mezzo a loro, seduta su una sedia con le mani legate dietro la schiena, una giovane ragazza, diciotto/vent’anni, capelli rapati a zero.
A metà di via Bodio il furgoncino è salito sul marciapiedi nello spartitraffico erboso di allora (adesso c’è una corsia riservata alla filovia 90 e 91). I due partigiani del cassone hanno fatto scendere la ragazza e l’hanno accostata ad un albero. Uno dei due ha piazzato una mitraglia a treppiede pochi metri davanti alla ragazza e si è sdraiato sull’erba in posizione di sparo. L’altro, evidentemente il comandante, ha letto una sentenza di morte. Una donna, da una finestra dal secondo, piano blaterava insulti contro la ragazza, chiaramente senza conoscerla.
La povera ragazza dava segni di svenimento.
Dopo aver letto la sentenza il comandante ha dato l’ordine “fuoco !!!”
Quello alla mitragia non ha sparato.
Hanno fatto risalire la ragazza sul furgoncino e sono ripartiti verso il Ponte della Ghisolfa. Evidentemente lo show continuava. Ognuno può immaginare il seguito come vuole.

Ritorno di un soldato di leva
Nall’abitazione adiacente alla nostra, al quarto piano di via Cantoni n°8, (due locali, cunt el cess in su la ringhera) è venuta ad abitare una giovano coppia di sposini. Luigi Baroni, e sua moglie Lina già in avanzato stato di gravidanza.
Luigi Baroni, classe 1925 (ora non c’è più), è stato chiamato alle armi nel 1944 (a 19 anni) dal governo della RSI. Tra l’alternativa di scappare, rischiando la pena di morte per diserzione (come d’uso a quell’epoca in tutte le nazioni in guerra) e quella di obbedire, lui scelse di obbedire alla chiamata.
Lui, prima di andare militare, lavorava alla Face Standard in via Bodio, dove in seguito ho lavorato anch’io.
Lo hanno mandato a combattere sull’Appennino Emiliano, sulla Linea Gotica, dove il fronte si è fermato negli ultimi sei mesi di guerra.
Il 25 aprile, non so attraverso quali vicende, è riuscito a ritornare a casa portandosi la Lina, che aveva conosciuto e sposato in zona di guerra.
La notte successiva sono andati a prelevarlo in casa i partigiani (qualcuno aveva fatto la spia) e l’hanno portato al loro comando.
Il comandante partigiano del gruppo quando lo ha visto e brevemente interrogato ha ordinato che venisse liberato immediatamente, gridando questa frase: basta con il sangue!!!
Frase molto significativa.
Quando poi Luigi Baroni si è presentato alla Face Standard per riprendere il lavoro gli è stato detto che non ne aveva più diritto. Ha trovato poi da lavorare altrove come fattorino.

La sorte di Luigi Baroni non è stata però delle peggiori. Diverse di migliaia di quei ragazzi sono entrati nella lista dei “desaparecidos” italiani, di cui la storia ufficiale della Nazione non ha mai parlato.

Glorificare e demonizzare
Glorificare tutti quelli che hanno combattuto per i vincitori e demonizzare tutti gli altri è un esercizio normale, sotto ogni latitudine. E’ però una normalità “a scadenza”.
Ad un certo punto la storia dovrebbe prevalere. E dovrebbe prevalere anche la pacificazione, cosa che non è avvenuta in Italia.



BOMBARDAMENTI SU MILANO

I cinque anni di guerra
Durante l’arco dei cinque anni di guerra ci sono state 60 incursioni aeree su Milano che hanno provocato circa duemila morti.
Quattro di questi bombardamenti, avvenuti in un periodo di nove notti dal 7 al 15 agosto 1943, hanno provocato più danni alla città di tutti i rimanenti bommbardamenti messi insieme.
Sono stati i bombardamenti più pesanti mai effettuate in Italia
Quindi probabilmente il colpo di grazia dato all’Italia, che trè settimane dopo,
l’ 8 settembre, annunciava l’armistizio con gli anglo-americani.
Nel 1943 i quadrimotori inglesi e americani (tutti ad elica a quel tempo) partivano dall’Inghilterra ed arrivavano su Milano sempre all’una di notte.
La durata dell’incursione, anch’essa costante, era di un’ora; il tempo necessario a far transitare centinaia di aerei, che viaggiavano a 450 km/ora ad altezze tra i 3mila ed i 6mila metri.

I bombardamenti di Agosto 1943Nel totale dei 4 bombardamenti di agosto 1943 sono transitati 916 bombardieri che hanno sganciato 2600 tonnellate di bombe.

Sulla base dei documenti consultati dall’autore del libro presso il Bomber Command
della RAF (Royal Air Force), risulta che l’intenzione degli anglo-americani era quella di provocare lo stesso effetto ottenuto su alcune città tedesche, totalmente distrutte dal fuoco.

Bombardando intensamente con bombe incendiarie i centri storici, ad alta concentrazione abitativa, avevano creato un “effetto camino” che attirando aria dalle zone limitrofe alimentava il fuoco incendiando tutto.

Questo effetto non si è ripetuto a Milano grazie alla diversa struttura degli edifici, che nei paesi mediterranei è di laterizi mentre nei paesi nordici è legno.

Nel secondo e più pesante dei quattro bombardamenti, con 504 aerei (notte 12-13 agosto), nonostante la grande quantità di incendi provocati dal lancio di 380.000 bombe incendiarie al fosforo, non si è determinato l’effetto camino sperato dagli anglo-americani, che avrebbe raso al suolo la città, come a Dresda.

I danni a MilanoDurante i 4 bombardamenti di agosto 1943 sono stati colpiti tra l’ altro il Duomo, la Scala, la Galleria, Palazzo Marino, il Castello Sforzesco, Sant’Ambrogio, Santa Maria delle Grazie(cenacolo di Leonardo), Accademia di Brera, una miriade di altri edifici storici, oltre a tutte la grandi fabbriche, la Stazione Centrale e tutti i grandi scali ferroviari.

La mia casa
Io speravo di individuare in quale di questi bombardamenti avevano incendiato la casa della mia famiglia, la mia casa, in via Cantoni al numer vot
Non ho trovato riferimenti sicuri.
Solo indicazioni probabilistiche.

Ritengo si sia trattato del terzo bombardamento avvenuto nella notte tra sabato 14 e domenica 15 agosto, in quanto è scritto che “a bombardamento avvenuto, la zona intorno allo Scalo Farini era semidistrutta”

Dalla mia casa, al quarto piano, in fondo alla ringhiera, vedevo tutto il grande Scalo Farini sottostante.
Il più grande dopo Lambrate.
Spazio enorme in un contesto cittadino, delimitato da grandi alberi di robinie, dal profumo intenso nelle fresche sere d’estate.
A destra la vista era limitata dal Ponte della Ghisolfa, a circa 500 metri.
A sinistra intravedevo appena la stazione Garibaldi, a 2 o 3 chilometri.
Di fronte, al di la dello scalo ferroviario, la zona cittadina di piazza Firenze, ad almeno un chilometro.

Per mè equivaleva al Golfo del Tigullio.



BOMBARDAMENTO DELLA SCUOLA DI GORLA
Scuola elementare bombardata il 20 ottobre del 1944, alle 11,30 del mattino.
La fatalità ha voluto che una bomba dirompente si infilasse nella tromba delle scale mentre le scolaresche (allarme in ritardo) stavano scendendo nel rifugio.
Duecento morti tra alunni ed insegnanti.
Il fronte era arrivato sull'Appennino emiliano ed i bombardieri partivano ora dall'Italia del sud.
I bombardamenti ora avvenivano di giorno in quanto non esistevano più difese contraeree nel nord Italia. (artiglieria e caccia)
Dalle relazioni del comando missione USA risulta che una squadra di 36 bombardieri aveva l'obiettivo di colpire la Breda di Sesto S.Giovanni, che produceva armi ed aerei.
La Breda aveva anche un campo volo, divenuto poi l'aeroporto di Bresso. La squadra di aerei, per inconvenienti tecnici, è andata fuori bersaglio.
In questo caso l'ordine era di scaricare ugualmente le bombe, come puntualmente avvenuto.
Le bombe hanno massacrato due quartieri, Gorla e Precotto, lungo l'asse di viale Monza.
614 morti in totale nei due quartieri.
Io ero tornato a Milano l'inverno precedente e, a 11 anni, leggevo i giornali.
L'evento è stato largamente divulgato dalla stampa, che accusava i "liberatori" di avere colpito volontariamente la scuola. La cosa faceva clamore. Mi pare che anche Radio Londra ne parlasse ma io non la sentivo. Pochi avevano la radio allora.
Sei mesi dopo la guerra è finita e la notorietà dell'accadimento è rimasta circoscritta alla zona.
Era un fatto sfavorevole alla parte vincente, sul quale era meglio glissare. A parti invertite, Gorla sarebbe diventata un luogo simbolo degli orrori nemici, tipo le Fosse Ardeatine.
La Renata ricorda che era nel rifugio antiaereo della scuola e ci fu un forte spostamento d'aria.
Non ha ricordi particolari da riferire se non il fatto che la cosa era molto nota.
Abbiamo invece ricordi comuni recenti, perchè il primo Parroco della nostra Parrocchia (eretta nel 1983), Don Walter Filippi (forse tu l'hai conosciuto), è uno dei quattro bambini rimasti sotto le macerie ma sopravissuti. Aveva nove anni. L'hanno tirato fuori dopo moltissime ore.
Era incastrato sotto una trave, abbracciato ad un suo amico che durante le ore è morto.
Lui aveva subito solo un danno ad una gamba ed ha zoppicato per il resto della sua vita.
Si sono accorti che lui era lì perchè nello scavare gli anno toccato una mano e lui ha mosso le dita.

Franco Valsecchi

L'amico Luigi Abordi aggiunge la sua testimonianza sul 25 aprile
I miei ricordi del 25 aprile sono rimasti anche se ero molto....piccolo. Abitavo con la mia famiglia a cento metri da piazzale Loreto percio' ricordo benissimo quel giorno: il 25 aprile 1945.Alla gioia che c'era nella gente adulta appena conosciuta la fine della guerra al mattino presto di quel 25 aprile nel cortile dove abitavo osservavo i grandi che parlavano sottovoce e con paura.
Sottovoce dicevano: il Duce con i suoi fedeli erano stati appesi morti al traliccio del distributore di benzina sull'angolo del corso Buenos Aires vicino al muretto dove l'anno prima in agosto furono uccisi 15 partigiani di Sesto. Il portone del cortile quel giorno rimase chiuso e sprangato. Sul portello fu'messo di guardia a turno un uomo della casa. (abitavo in una casa a cinque piani con un servizio in fondo alla ringhiera e la stufa a legna per riscaldarsi d'inverno, senza ascensore, ma c'era un cortile la sabbia per giocare e una fila di pioppi che in estate davano una bella ombra). Noi bambini quel giorno fummo impediti di uscire sulla strada ma sbirciando fuori dal portello si vedevano passare sul viale moltissime persone che urlavano e non si capiva se erano contente o erano cattive e inferocite. A me non fu' permesso di andare a vedere il Duce appeso in piazzale Loreto ma ascoltai con paura il racconto del mio papa' che ci era andato assieme agli altri uomini della casa.
Con la mamma ascoltammo in silenzio e con molta paura quello che quel giorno stava succedendo vicino alla nostra casa .
Nei giorni seguenti finalmente il portone della casa fu riaperto e noi bambini potevamo uscire liberamente sul marciapiede che allora era libero dalle auto che non esistevano.
In mezzo al viale c'erano due binari pieni di sassi dove passava il tram per Sesto e per Monza. In quei giorni i sassi del tram furono calpestati dai partigiani che scendevano tutti i giorni da Sesto in corteo con le armi in mano cantando e urlando, noi mentre li guardavamo avevamo molta paura. Davanti al corteo c'erano sempre delle donne che a piedi nudi con la testa rapata e vestite con uno spolverino che tenevano con le mani legato ma ogni tanto qualcuna non c'e' la faceva e cadeva per terra sui sassi e quelli la circondavano e la obbligavano con spinte del fucile o con calci a rialzarsi.
La donna che cadeva si vedeva che sotto era nuda ed era stata picchiata. Erano queste state le donne dei fascisti, cosi dicevano i grandi, e adesso si meritavano di essere giustiziate in piazzale Loreto anche loro. Cosa sia successo in piazzale Loreto a queste donne non lo posso sapere ma solo immaginare, nessuno di noi bambini non e' mai potuto accedere al seguito di questi cortei, i grandi dicevano che le facevano fuori. Qualche donna passo' davanti alla nostra casa anche lei rapata e vestita con lo spolverino grigio chiaro trasportata sopra un motocarro lei stava in piedi attorniata da uomini con le armi in mano e dietro seguivano in corteo i partigiani a piedi. Questa e' una pagina di storia che non ho piu'sentito descrivere da nessuno ma che penso sia bene sia dimenticata. Se prima e dopo gli uomini e le donne hanno sbagliato il Signore provvedera' con la sua grande misericordia a perdonare quelli che hanno fatto quello che non dovevano fare se si sono pentiti.
E noi non possiamo permetterci di dare giudizi e condannare nessuno.
Ricevo da Brunello Amici
Brunello mi manda, oltre a qualche suo commento, uno stralcio dal Sole24Ore di Domenica 24 Aprile u.s. con un articolo di Ermanno Olmi a commento del 60° anniversario della Liberazione.
Ad inviarmelo è la carissima Ilaria Amici, sua figlia.
E' un regalo graditissimo e centratissimo di cui ringrazio affettuosamente Ilaria.

Ermanno Olmi, mio amico d'infanzia, ha scritto un articolo che occupa mezza pagina del Sole24Ore, se si include una grande foto al centro.
Lo scritto collima perfettamente con la mia visione degli eventi del tempo. Potrei sottoscriverlo come lo avessi scritto io.
Un dettaglio:
sono citati i platani tagliati abusivamente di notte in via Bodio durante l'inverno 1943/44. Aggiungo che i ceppi stessi sono stati strappati alla terra le notti successive.
E, sempre della serie "riscaldarsi", ricordo che di notte c'era gente che scavalcava il muro di recinzione dello Scalo Farini per prendere carbone dai carri ferroviari parcheggiati.
Questo avveniva nonostante lo scalo fosse sorvegliato dai tedeschi.

Ermanno Olmi ha diviso quel periodo tra via Cantoni ed una località della bergamasca originaria della sua famiglia, dove era sfollato.
Lo dice anche nell'articolo dove parla della scuola dei Salesiani
dove faceva la 3a media (via Copernico) e di "piazzale Loreto dove andavo a prendere il tram per il paese dov'ero sfollato".
Era il tram interurbano predecessore della Linea 2 del Metrò.

Questa doppia residenza crea qualche confusione quando parla del mattino del 25 Aprile quando un suo amico dalla finestra gli gridò "è finita !" mentre lui correva perchè era in ritardo.
Questo avviene nel paese dov'era sfollato.
Lo dico in risposta ad una domanda di Brunello: eri tu quell'amico ?
Non potevo essere io. Non avveniva in via Cantoni
Oltretutto io non avevo la radio, come certamente aveva quel suo amico.

Poi Brunello commenta cosi la email di Pedro Fouz:
forte il Pedro ! Sembra la versione spagnola del Franco Valsecchi !
Effettivamente sento molte affinità con Pedro.
L'ho conosciuto nel settembre 1972. Mi invitò a casa sua a cena, la sera stessa del mio arrivo. E fu subito amicizia

Affettuosi saluti a tutti
Franco Valsecchi
DA BRUNO MARELLI A FRANCO VALSECCHI

Caro Franco,
i miei ricordi sono condizionati da un evento importante per me, ma sopratutto per la mia famiglia che in qualche misura segna una sorta di spartiacque tra due periodi: l'esodo da Pola avvenuto nel gennaio del 1947.
Questo evento è capitato mentre stavo frequentando la seconda elementare che infatti ho completato in provincia di Brescia. Poi dopo qualche mese ci siamo trasferiti a Venezia e poi a Mestre.
Dunque per ora ricordi di Pola. Innanzitutto ricordi di guerra e di bombardamenti. Pola era un importante centro strategico con un cantiere navale che è stato oggetto delle attenzioni sia degli alleati che dei tedeschi.
Fin dalla prima guerra mondiale gli austriaci avevano provveduto a scavare sotto la roccia degli ampli rifugi antiaerei che per noi sono stati una vera manna ai tempi dei bombardamenti massicci degli Alleati. Era sufficiente andare per tempo in rifugio per essere totalmente al sicuro.
Ricordo il rituale che si svolgeva prima di ogni attacco aereo: c'era un ricognitore che tutti chiamavano Pippo che precedeva di pochi minuti uno stormo di aerei che disegnavano in cielo delle strane figure. Erano indicazioni per individuare le zone da colpire.
Contestualmente (ma non sempre) scattava l'allarme antiaereo ed entrava in azione la contraerea di terra. Spesse volte però nelle giornate di vento gli obiettivi venivano spostati ed il bombardamento avveniva in zone non strategiche. Se quindi Pippo era seguito da questo rituale bisognava affrettarsi e correre in rifugio. Mi ricordo che al pari di tanti altri abbiamo lasciato la nostra casa e preso in affitto una stanzetta accanto ad una delle bocche dei rifugi per essere più presto al sicuro.
Passata l'ondata veniva dato il segnale di cessato pericolo e si poteva tornare a casa.
Spesse volte si trattava di ondate successive per cui bisognava dopo pochi minuti ritornare di corsa in rifugio. Ricordo il Natale del 1944 passato completamente in rifugio tra una serie di attacchi ravvicinati. Non sapendo tempi e luoghi del bombardamento bisognava essere preparati a permanenze anche piuttosto lunghe ed aver cura di avere con sè la borsa della spesa e qualche coperta in caso di pernottamento.
Ricordo distintamente l'atmosfera all'interno del rifugio che era costituito da un sentiero scavato nella roccia largo alcuni metri e con una panchina di sasso su cui ci si poteva sedere.
Nonostante avessimo trenta e più metri di roccia sopra la testa quando la bomba ci cadeva sopra tutto tremava per qualche istante e talvolta si intravedevano i bagliori dello scoppio in corrispondenza agli sfiatatoi necessari per far circolare l'aria. Gli sfiatatoi ovviamente non seguivano percorsi rettilinei per arrivare alla superficie.
Ricordo le persone che arrivavano in ritardo e trafelate con qualche notizia riguardo alla zona che il bombardamento aveva colpito. Si spargevano ovviamente le notizie più disparate: hanno centrato la tale strada, tutte le case sono venute giù e così via. Figuriamoci la preoccupazione ed anche la disperazione: non si vedeva l'ora di uscire per constatare i danni.
Ricordo che mio papà incallito fumatore si portava di tanto in tanto verso l'imbocco del rifugio per fumare una sigaretta (all'interno del rifugio non si poteva ovviamente fumare).
Ricordo la preoccupazione di mia madre che non lo voleva lasciar andare anche se il pericolo era molto limitato. Noi avevamo un cagnolino di razza volpina che ovviamente non potevamo portare con noi e che quindi rimaneva in casa (si chiamava Bianchino per il colore del pelo):
la volta che hanno centrato la nostra casa ma non in pieno per fortuna Bianchino è diventato sordo. Ricordo a questo proposito un episodio curioso: mia madre era riuscita a trovare della carne fresca e la cosa non era così banale. Mentre la stava preparando era squillato l'allarme e lei aveva lasciato il tutto sul lavandino ben fuori portata dal cane. Come abbia fatto non lo so perchè era di taglia piccola; sta di fatto che guidato dalla fame Bianchino era riuscito a salire in qualche modo sul lavandino e farsi una scorpacciata come non gli accadeva da chissà quanto tempo.
Al ritorno ricordo che mia mamma non sapeva se ridere o piangere, se accarezzarlo o usare la scopa. Tutto ciò è avvenuto dopo il settembre del 1943; se non ricordo male abbiamo avuto il primo bombardamento massiccio nel gennaio 1944 e la cosa si è protratta fino all'aprile del 1945.
Questo è un primo contributo: se i lettori saranno interessati potrei raccontare quello che è avvenuto nel periodo successivo.

Visto l'incoraggiamento dell'amico Franco continuo con qualche nota relativa al periodo aprile 1945-gennaio 1947 in cui si sono decisi i destini dell'Istria. Devo per forza ricordare un po' la storia del periodo e, per quanto mi riesce, cercherò a distanza di tanti anni di essere il più imparziale possibile. Sono peraltro molto contento se qualcuno troverà in queste poche righe qualcosa di inedito di cui non era a conoscenza. Devo infatti dire che a questo periodo ed a questa storia è stata messa la sordina per lunghi anni per una serie di ragioni che non commento.
Mi scuso quindi se privilegerò i fatti "ufficiali" rispetto ai ricordi personali.
La prima considerazione e non di scarso rilievo è che nell'ultima settimana di aprile 1945 mentre in Italia la guerra si concludeva rapidamente da noi cominciava forse il peggior periodo.
La strategia delle armate Jugoslave (uso il nome armate come da fonti ufficiali anche se in realtà si trattava di un esercito molto disomogeneo che si era ingrossato a dismisura dal febbraio 1945) era quella di precedere ovunque era possibile l'arrivo degli Alleati con lo scopo evidente di far prevalere in seguito la politica dello status quo di occupazione.
Mentre l'interno dell'Istria era in mano ai partigiani locali (non quindi all'esercito Jugoslavo) fin dal settembre 1943, la fascia costiera occidentale che collega Pola a Trieste e quella orientale che collega Pola a Fiume era difesa ad oltranza dai tedeschi nella regione che avevano battezzato Litorale Adriatico e che a tutti gli effetti faceva parte del Reich con scarsa o meglio nulla influenza della Repubblica di Salò. Il cedimento dei tedeschi era in atto da circa metà marzo 1945, ma di fatto l'offensiva della Quarta Armata Jugoslava venne lanciata il 17 aprile ed ottenne il risultato di occupare Trieste il primo maggio e Pola il 3 maggio (la resa definitiva dei tedeschi fu firmata il 6 maggio). La differenza essenziale è che a Trieste gli Alleati arrivarono subito (credo il 4 o 5 maggio) pretendendo il passaggio immediato di poteri mentre a Pola tale evento accadde solo il 12 giugno. Ci si trovava dunque in una situazione a partire circa dal 25 aprile in cui i collegamenti con Trieste erano stati tagliati, con gli Jugoslavi che assediavano Pola dall'entroterra (Dignano, Lisignano, Medolino) e con i tedeschi asserragliati da parte opposta della città con una particolare roccaforte in località Stoia. Cito questi nomi perchè forse qualcuno può ricordarli per avervi trascorso le vacanze estive molti anni dopo.

Cessati quindi i bombardamenti Alleati bisognava quindi fare i conti con una guerra cittadina in atto con tanto di cannonate che sorvolavano i nostri tetti e soprattutto con il timore che tutto potesse evolvere in una carneficina di civili. Per fortuna non è andata così perchè le difese tedesche erano ormai allo stremo e non c'è stata una battaglia casa per casa come poteva accadere. Di fatto comunque ci siamo trovati sotto l'amministrazione Jugoslava nel giro di pochi giorni. Tale amministrazione provvisoria si è protratta fino al 12 giugno per 45 giorni diventati famosi per la caccia a tutto quello che poteva essere o sembrare un vestigio di italianità.
Sicuramente è stato politicamente un grosso errore come riconosciuto dagli stessi Jugoslavi dopo parecchi anni, ma in qualche misura si è voluto in 45 giorni rifarsi di tutti i torti subiti dalle minoranze slovene e croate in più di vent'anni sotto il passato regime. Chiunque aveva avuto responsabità politiche e civili nel passato s'era messo al sicuro per tempo, per cui non restava che una popolazione a grande maggioranza di ceppo veneto su cui rivalersi.

Si è cominciato a prelevare dalle singole abitazioni i professionisti (medici, avvocati, professori) ed usando una brutta accezione allora di moda a "deportarli". In genere venivano avviati verso qualche isola dalmata (Cherso, Lussino, Veglia, Arbe o più giù vicino a Zara) e tenuti praticamente in stato di prigionia senza nessuna garanzia di diritti civili e legali. L'imputazione allora molto comune era di essere "nemici del popolo". Devo dire onestamente che parecchi hanno potuto far ritorno a casa dopo l'arrivo degli Alleati, non tutti però e comunque mai è stato possibile fare un censimento delle vittime.
E' chiaro che parlo di persone non impegnate con il regime se non forse per simpatia dell'unica forma di italianità che l'Istria ha potuto avere dopo la prima guerra mondiale. Mio padre, insegnante elementare molto conosciuto e ritengo benvoluto dalla grande maggioranza degli allievi non ha avuto alcuna noia, ma c'era la sensazione che fosse sufficiente una segnalazione dovuta ad una semplice antipatia personale per passare guai grossi.
Questo stato di cose ha persuaso la stragrande maggioranza di coloro che sarebbero diventati poi esuli a seguire questa strada.
Pola aveva allora 55 mila abitanti come detto a grande maggioranza di ceppo veneto: ebbene circa novanta su cento hanno deciso di non rimanere sotto l'amministrazione Jugoslava quando poco più di un anno dopo si è conosciuto il destino dell'Istria. Notare che parlo di una generazione che era nata e cresciuta sotto l'Austria e che a priori essendo legata alla propria terra avrebbe accettato di rimanere qualora fossero stati rispettati gli stessi diritti che l'Austria aveva garantito alle minoranze. Nei mesi successivi si comincia ad aver sentore di cedimenti da parte degli Alleati sul nucleo centrale del problema e cioè l'attribuzione dei territori giuliani nel trattato di pace (posizione rassicurante degli americani, molto più ambigua quella degli inglesi e dei francesi).

Si tratta di circa 10 mila Kmq che gli Alleati dovevano occupare integralmente ed al di sopra delle parti per consentire una equa spartizione in base alle caratteristiche etniche. Di fatto viene consentito all'esercito di Tito di rimanere in larghe parti dell'Istria interna ivi comprese alcune località della costa tipo Rovigno e Parenzo mettendo così dei presupposti importanti per il futuro. L'intera Istria viene percorsa da una commissione interalleata d'inchiesta che ha il compito di stabilire etnie e radici dei singoli territori.

Ciò si protrae per 28 giorni ed è datato marzo 1946. In realtà si ha l'impressione di una serie di azioni pro forma che avallino decisioni già meditate e probabilmente prese. Passa così buona parte del 1946 tra speranze sempre più esigue ed evidenze via via crescenti di una soluzione che non favorirà l'Italia. Il 29 luglio si apre a Parigi la conferenza per la pace ed il 10 agosto De Gasperi pronuncia il famoso e dignitosissimo discorso che cerca di perorare le residue speranze italiane, ma che fa capire in modo definitivo quanto siano poche ed affidate all'arbitrio altrui.
Per gli amanti della storia è quel discorso che comincia con le seguenti parole: "Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: e soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa considerare come imputato e l'essere citato qui dopo che i più influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni in una lunga e faticosa elaborazione".

Ad agosto l'intera città partecipa ad una tragedia. Circa 80 persone muoiono e centinaia rimangono ferite per uno scoppio di parecchie mine lascite incustodite in uno stabilimento balneare e ritenute disinnescate. Il fatto avviene di domenica in località Vergarolla in concomitanza ad una manifestazione velica di stampo chiaramente italiano. Non è mai stata appurata la verità e quindi è rimasto il dubbio di un attentato anche se l'inchiesta ufficiale condotta dalle autorità Alleate non ha avallato questa ipotesi.

Finalmente le poche speranze cadono nell'ottobre del 1946 con la conclusione della conferenza di Parigi che assegna alla Jugoslavia circa 9300 Kmq dei 10000 in discussione lasciando all'Italia parte della città di Gorizia ed istituendo il cosiddetto Territorio Libero di Trieste. Con la certezza dell'assegnazione dell'intera Istria alla Jugoslavia che diventerà operativa nel settembre 1947, ma che di fatto è già in essere in buona parte dell'interno, scatta così l'operazione esodo: chiunque abbia possibilità concrete di appoggi in Italia (lavoro statale, parenti o altro) è orientato ad andarsene. Chi viceversa ha una casa di proprietà o qualche piccolo appezzamento di terreno è più incerto e non vuole staccarsi dai risparmi di una vita.

L'ideologia c'entra poco perchè i famosi 45 giorni hanno convinto tutti di non poter continuare a vivere dignitosamente, nè si pensa ad una normalizzazione che dovrà necessariamente avvenire, che viene ovviamente sbandierata dalla controparte, ma che riscuote poca credibilità. Tutto ciò lo ripeto riguarda la gente comune non compromessa in alcun modo con il regime fascista che ora deve scegliere nell'arco di pochi mesi. I miei godono di una condizione privilegiata non avendo beni immobili da difendere ed avendo mio padre un impiego che gli garantisce un posto di lavoro ovunque in Italia e quindi la scelta è scontata.
Lasciamo quindi Pola nel gennaio del 1947. La famiglia non è comuque compatta e ciò succede un po' per tutti: uno zio da parte di mio papà e due da parte di mia mamma decidono di restare proprio per le ragioni che accennavo prima mentre altre sei famiglie di parenti stretti decidono per l'Italia. Ricordo una serie di atteggiamenti ostili da parte della minoranza italiana che aveva sposato l'idea del comunismo e che non esitava a fischiare ed a tacciare di fascisti coloro che per lunghe ore sul molo centrale attendevano di imbarcarsi sul famoso "Toscana" (il nome della nave che ci portava a Trieste).

Tale fenomeno però si smorza da se stesso di fronte all'imponente fenomeno dell'esodo e gli stessi oppositori rimangono più attoniti che contrariati all'idea di una scelta di massa che di fatto li lascia soli senza più alcuna controparte. I problemi però non sono finiti perchè una strana legge stabilisce che chi ad una certa data (mi pare maggio 1940) risiedeva nei territori che verranno annessi alla Jugoslavia viene dichiarato cittadino jugoslavo. Per riconquistare la cittadinanza italiana bisognerà far scattare una opzione esplicita.

Ricordo le lungaggini, ricordo che mio padre non ebbe diritto di voto alle poltiche dell'aprile 1948, ricordo infine la ritorsione di essere considerati ospiti non graditi dall'amministrazione jugoslava per tutti coloro che avevano optato per l'Italia. Sono tornato a Pola nel settembre 1958 con una comitiva organizzata con passaporto collettivo per la durata di un paio di giorni. Finalmente nel 1962 ho potuto avere il visto che mi permetteva soggiorni individuali nella mia città. Non voglio trarre conclusioni da questo racconto, nè schierarmi nel dare giudizi storici. Solo qualche riflessione.

Anzitutto il silenzio che per decine d'anni è calato su questo fenomeno che ha coinvolto complessivamente 350000 persone. Voglio solamente dire citando Aldous Leonard Huxley che i fatti non cessano di esistere solo perchè vengono ignorati. La seconda e forse più amara riflessione rigurda il fatto di constatare che tornando a Pola non sono in grado di comunicare (altro che in inglese) con persone nate nella mia città e più giovani di 15-20 anni: io infatti non conosco il croato nè loro parlano l'italiano. Siamo quindi riusciti a spezzare una sorta di equilibrio etnico che durava da secoli nel rapido volgere di pochi decenni.

E' ovvio che mi chieda di chi sia la responsabilità, ma come non riesco ad attribuirla a me stesso o a coloro che hanno fatto la mia scelta non la posso certo imputare a coloro che abitano ora a Pola e con cui faccio fatica a comunicare.
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